La vulnerabilità si associa all'amore: quando amiamo ci sentiamo vulnerabili, in quanto siamo anche esposti alla sofferenza e alla possibile perdita dell'amore.
Negarsi la possibilità di essere vulnerabili comporta sia la rinuncia all'amore vissuto pienamente, sia la difficoltà ad elaborare i lutti passati. Scegliere di non soffrire è prima di tutto una rinuncia, oltre ad essere una protezione difensiva.
Dolore e amore sono inestricabilmente legati: l'amore comporta il rischio della perdita (dell'amore).
Concedersi di essere vulnerabili è un dono d'amore verso di sé, parla del proprio coraggio e della propria resilienza.
In molte grandi sofferenze della vita c'è una perdita, un amore minato. Alla perdita dell'amore si lega il crepacuore, il lutto. E' più evidente quando muore una persona amata o quando subiamo una separazione. Ma anche in diversi scossoni della nostra vita, come nel sentirsi traditi, delusi, nella perdita di fiducia verso persone che amiamo, c'è un crepacuore, un lutto, che comporta un senso di perdita all'interno di noi: qualcosa in cui credevamo, muore.. non c'è più o non è come credevamo. E' doloroso prenderne atto, ma se lo lasciamo morire e lo lasciamo andare, qualcosa di noi potrà rinascere.
Restare in contatto con la nostra vulnerabilità è una forma di coraggio che ci accompagna sia quando ci innamoriamo e sia quando ci troviamo ad affrontare la chiusura di una relazione, il lutto. Restare teneri, aperti a se stessi, permette di continuare a vivere, di camminare lungo i sentieri della propria vita, elaborare, innamorarsi, cadere e rialzarsi. Il coraggio sta nell'amare così come nel lasciar andare. Imparando a lasciar andare, noi ci avviciniamo all'amore, che si distingue dall'attaccamento. Concedendoci ogni emozione, possiamo attraversare il dolore, che libera il passaggio anche alla gioia e all'amore.
Noi siamo naturalmente predisposti all'amore e da bambini questo sentimento è maggiormente intatto, insieme all'innocenza e alla fiducia; da bambini, siamo più liberi e aperti alla vita.
Ma siamo anche naturalmente predisposti a rialzarci dalle cadute, quindi ad affrontare le inevitabili sofferenze della vita, i lutti.
Crescendo, all'amore si mischiano le esperienze dolorose che abbiamo vissuto e che hanno minato la purezza di questo nostro sentimento. La nostra capacità di amare si lega a quanto il nostro amore è stato rispettato, riconosciuto e ricambiato nella nostra vita, ma anche a quanto abbiamo affrontato i nostri lutti, le nostre delusioni, alla possibilità di districarci da ciò che amore non era e di andare verso esperienze nelle quali i nostri sentimenti potevano essere accolti e condivisi.
La capacità di lasciarsi andare si distingue dalla dipendenza affettiva e dall'attaccamento, in quanto è anche capacità di rinunciare a una relazione, qualora ci si accorga che non c'è più ossigeno per l'amore. Il “lasciarsi andare” è da intendersi prima di tutto verso se stessi: lasciarsi andare a sé, restare fedeli a se stessi, coltivare l'amore che nasce prima di tutto dentro di sé e che si prende il diritto di esistere nella propria vita, nella libertà di potersi muovere verso i luoghi in cui può esserci spazio, ascolto e amorevolezza per sé.
Ci si lascia andare quanto più si sente di potersi "appoggiare" e affidare a sé, quanto più si è radicati, sulle proprie gambe.
A proposito di amore, perdita di amore e resilienza, cito brevemente alcuni preziosi aspetti dell'esperienza di una mia paziente, che chiamerò Clara (il nome non è realmente il suo, per la privacy).
A un certo punto del suo percorso di psicoterapia, Clara evocò l'immagine della fenice: la fenice risorge dalle proprie ceneri. Così Clara, dopo aver chiuso una relazione che la sviliva affrontò, nel suo percorso, i tempi del dolore e del lutto, lasciò morire ciò che non era più e attinse al proprio coraggio per mettersi a nudo di fronte a se stessa; si guardò allo specchio, riprendendosi poco per volta le parti di sé che a lungo erano rimaste silenti e nell'angolo.
Da qui, gradualmente si fece spazio, riscoprì l'amore per sé, il bisogno di coltivare la sua individualità e la possibilità di onorare e vivere ogni sua emozione, anche associando i suoi stati d'animo ai diversi spazi della nuova casa in cui scelse di andare ad abitare, una casa che poteva accoglierla pienamente, mentre lei iniziava a conoscere se stessa in modo più ampio e più ampiamente iniziava ad accogliersi (e ad espandersi e aprirsi).
Nel tempo, si è re-innamorata, lasciandosi andare, ma senza perdersi nell'altro. Era consapevole di poter soffrire nuovamente, ma con una nuova fede in se stessa; proprio questa rinnovata fiducia in sé le diede la forza e il coraggio di lasciarsi andare: al di là di ciò che sarebbe potuto accadere, lei sapeva che è possibile “morire” per “rinascere”, o meglio, sapeva che poteva lasciar morire ciò che non sarebbe potuto essere, qualora fosse accaduto, e perciò darsi la possibilità di rinascere nuovamente, perché ci era passata, aveva attraversato i gironi infuocati del suo dolore e ne era uscita fortificata, più in contatto con sé, più radicata e resiliente.
La fenice faceva ormai parte della sua identità.
Per rinascere, è necessario lasciar morire qualcosa: una convinzione, un'aspettativa, determinati dolori e paure del passato; attraversarli, lasciarli andare, lasciare che facciano ritorno al passato, lasciar morire ciò che non è più.
Gli “attaccamenti” fanno parte della natura umana, ma è importante osservare quanto determinati attaccamenti aprono lo spazio, permettono lo sviluppo e l'ossigeno o quanto invece sottraggono spazio, sviluppo e ossigeno alla propria vita, imponendo nuovamente il passato nel proprio presente.
Concludo con queste parole di Marina Valcarenghi:
“Per inseguire i nostri obiettivi è necessario rischiare di non poterli raggiungere e di farci male lungo la strada. Il coraggio è anche nell'accettare l'ineluttabile e l'esperienza della morte.
E infatti, solo gli esseri umani possono essere coraggiosi, non gli dèi perchè non possono morire.
E' la fragilità umana che dà valore al coraggio ed è il pensiero (la riflessione) che gli dà un senso.
Il coraggio non esclude affatto la paura, anzi la prevede”.
Infine.. “La vita è tanto più forte della nostra volontà”.
Già, c'è qualcosa che va oltre la volontà umana e in questo qualcosa c'è anche la capacità di affidarsi alla vita e al proprio sentire: avere fiducia. La fiducia-fede in se stessi e in ciò che può accadere sono tra i primi preziosi ingredienti che ci aprono alla vita.
1 Il coraggio della felicità, Marina Valcarenghi, 2013, Ed. Bruno Mondadori.
Negarsi la possibilità di essere vulnerabili comporta sia la rinuncia all'amore vissuto pienamente, sia la difficoltà ad elaborare i lutti passati. Scegliere di non soffrire è prima di tutto una rinuncia, oltre ad essere una protezione difensiva.
Dolore e amore sono inestricabilmente legati: l'amore comporta il rischio della perdita (dell'amore).
Concedersi di essere vulnerabili è un dono d'amore verso di sé, parla del proprio coraggio e della propria resilienza.
In molte grandi sofferenze della vita c'è una perdita, un amore minato. Alla perdita dell'amore si lega il crepacuore, il lutto. E' più evidente quando muore una persona amata o quando subiamo una separazione. Ma anche in diversi scossoni della nostra vita, come nel sentirsi traditi, delusi, nella perdita di fiducia verso persone che amiamo, c'è un crepacuore, un lutto, che comporta un senso di perdita all'interno di noi: qualcosa in cui credevamo, muore.. non c'è più o non è come credevamo. E' doloroso prenderne atto, ma se lo lasciamo morire e lo lasciamo andare, qualcosa di noi potrà rinascere.
Restare in contatto con la nostra vulnerabilità è una forma di coraggio che ci accompagna sia quando ci innamoriamo e sia quando ci troviamo ad affrontare la chiusura di una relazione, il lutto. Restare teneri, aperti a se stessi, permette di continuare a vivere, di camminare lungo i sentieri della propria vita, elaborare, innamorarsi, cadere e rialzarsi. Il coraggio sta nell'amare così come nel lasciar andare. Imparando a lasciar andare, noi ci avviciniamo all'amore, che si distingue dall'attaccamento. Concedendoci ogni emozione, possiamo attraversare il dolore, che libera il passaggio anche alla gioia e all'amore.
Noi siamo naturalmente predisposti all'amore e da bambini questo sentimento è maggiormente intatto, insieme all'innocenza e alla fiducia; da bambini, siamo più liberi e aperti alla vita.
Ma siamo anche naturalmente predisposti a rialzarci dalle cadute, quindi ad affrontare le inevitabili sofferenze della vita, i lutti.
Crescendo, all'amore si mischiano le esperienze dolorose che abbiamo vissuto e che hanno minato la purezza di questo nostro sentimento. La nostra capacità di amare si lega a quanto il nostro amore è stato rispettato, riconosciuto e ricambiato nella nostra vita, ma anche a quanto abbiamo affrontato i nostri lutti, le nostre delusioni, alla possibilità di districarci da ciò che amore non era e di andare verso esperienze nelle quali i nostri sentimenti potevano essere accolti e condivisi.
La capacità di lasciarsi andare si distingue dalla dipendenza affettiva e dall'attaccamento, in quanto è anche capacità di rinunciare a una relazione, qualora ci si accorga che non c'è più ossigeno per l'amore. Il “lasciarsi andare” è da intendersi prima di tutto verso se stessi: lasciarsi andare a sé, restare fedeli a se stessi, coltivare l'amore che nasce prima di tutto dentro di sé e che si prende il diritto di esistere nella propria vita, nella libertà di potersi muovere verso i luoghi in cui può esserci spazio, ascolto e amorevolezza per sé.
Ci si lascia andare quanto più si sente di potersi "appoggiare" e affidare a sé, quanto più si è radicati, sulle proprie gambe.
A proposito di amore, perdita di amore e resilienza, cito brevemente alcuni preziosi aspetti dell'esperienza di una mia paziente, che chiamerò Clara (il nome non è realmente il suo, per la privacy).
A un certo punto del suo percorso di psicoterapia, Clara evocò l'immagine della fenice: la fenice risorge dalle proprie ceneri. Così Clara, dopo aver chiuso una relazione che la sviliva affrontò, nel suo percorso, i tempi del dolore e del lutto, lasciò morire ciò che non era più e attinse al proprio coraggio per mettersi a nudo di fronte a se stessa; si guardò allo specchio, riprendendosi poco per volta le parti di sé che a lungo erano rimaste silenti e nell'angolo.
Da qui, gradualmente si fece spazio, riscoprì l'amore per sé, il bisogno di coltivare la sua individualità e la possibilità di onorare e vivere ogni sua emozione, anche associando i suoi stati d'animo ai diversi spazi della nuova casa in cui scelse di andare ad abitare, una casa che poteva accoglierla pienamente, mentre lei iniziava a conoscere se stessa in modo più ampio e più ampiamente iniziava ad accogliersi (e ad espandersi e aprirsi).
Nel tempo, si è re-innamorata, lasciandosi andare, ma senza perdersi nell'altro. Era consapevole di poter soffrire nuovamente, ma con una nuova fede in se stessa; proprio questa rinnovata fiducia in sé le diede la forza e il coraggio di lasciarsi andare: al di là di ciò che sarebbe potuto accadere, lei sapeva che è possibile “morire” per “rinascere”, o meglio, sapeva che poteva lasciar morire ciò che non sarebbe potuto essere, qualora fosse accaduto, e perciò darsi la possibilità di rinascere nuovamente, perché ci era passata, aveva attraversato i gironi infuocati del suo dolore e ne era uscita fortificata, più in contatto con sé, più radicata e resiliente.
La fenice faceva ormai parte della sua identità.
Per rinascere, è necessario lasciar morire qualcosa: una convinzione, un'aspettativa, determinati dolori e paure del passato; attraversarli, lasciarli andare, lasciare che facciano ritorno al passato, lasciar morire ciò che non è più.
Gli “attaccamenti” fanno parte della natura umana, ma è importante osservare quanto determinati attaccamenti aprono lo spazio, permettono lo sviluppo e l'ossigeno o quanto invece sottraggono spazio, sviluppo e ossigeno alla propria vita, imponendo nuovamente il passato nel proprio presente.
Concludo con queste parole di Marina Valcarenghi:
“Per inseguire i nostri obiettivi è necessario rischiare di non poterli raggiungere e di farci male lungo la strada. Il coraggio è anche nell'accettare l'ineluttabile e l'esperienza della morte.
E infatti, solo gli esseri umani possono essere coraggiosi, non gli dèi perchè non possono morire.
E' la fragilità umana che dà valore al coraggio ed è il pensiero (la riflessione) che gli dà un senso.
Il coraggio non esclude affatto la paura, anzi la prevede”.
Infine.. “La vita è tanto più forte della nostra volontà”.
Già, c'è qualcosa che va oltre la volontà umana e in questo qualcosa c'è anche la capacità di affidarsi alla vita e al proprio sentire: avere fiducia. La fiducia-fede in se stessi e in ciò che può accadere sono tra i primi preziosi ingredienti che ci aprono alla vita.
1 Il coraggio della felicità, Marina Valcarenghi, 2013, Ed. Bruno Mondadori.
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