Paura di amare. Paura di non riuscire più a innamorarsi.

Dietro al patto con se stessi "non soffrirò mai più per amore" si cela un'ingiunzione: "non amerò più", requisito fondamentale per bandire ogni pena d'amore.
Si mette un lucchetto. Si perde la chiave.
E ci si dimentica che quella sofferenza, per quanto dolorosa, fa parte della vita e che dalle cadute ci si può rialzare.
Tollerare l'eventualità di soffrire è meno doloroso che bandire illusoriamente ogni sofferenza: permette di vivere.
L'aspettativa di bandire ogni sofferenza d'amore provoca un indurimento d'animo, un blocco che non consente superamento, né nuovi approdi: una parte di sé è ancora laggiù, con la paura che possa ricapitare ciò che più si teme; guardiana di nuovi allarmi in arrivo.
Questa è la grande sofferenza, la sofferenza della "resistenza", quella che non permette di andare oltre, di abbandonarsi, di mollare il controllo; quella che fa smettere di credere.
Protegge, stringe, chiude, anestetizza. Può dominare al punto da far sentire smarriti. Mentre la vita pulsa, qualcosa dentro di sé non scorre, non è completamente "abitato".

Ma, a un certo punto, questo smarrimento può risvegliare la nostalgia, la voglia di ritrovarsi, di recuperare le chiavi e andare a cercare: "che ne è del cuore? Del suo battito e dei suoi sussulti? E la pancia? Quanto respiro raggiunge le viscere?".
Sarà arrivato il momento di rivolgersi a se stessi con meno filtri e maggiore contatto, per leccarsi le ferite, aprirsi alla solitudine come spazio da prendersi e donarsi, passare del buon tempo in propria compagnia, darsi respiro, calore, ascolto mancato
Se sentiamo di poterci accogliere, consolare e soddisfare in questo spazio: è amore.

Se ci diciamo "non ho più tempo per stare solo, è tardi", stiamo dicendo un NO a noi stessi e alle emozioni da lasciar scorrere, che aiutano a far spazio dentro noi; con questo NO stiamo dicendo SI all'indurimento.
Se crediamo di aver passato già troppo tempo in solitudine, chiediamoci: che tipo di solitudine è stata? Come l'abbiamo vissuta?
A volte, il cercare troppo al di fuori di sé può allontanare da sé.

Da un nutrito spazio di intimità con noi stessi può delinearsi e farsi più chiara la distinzione fra bisogno e amore, fra necessità e accoglienza spontanea, fra richiesta e apertura fiduciosa, fra paura e libertà di essere.

Il nostro giardino interiore può aver sete di noi. Accorgiamoci della sua esistenza vitale, per nutrirlo con cura ogni giorno. Approfondiremo la stabilità delle nostre radici e semineremo amore.



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