NON SENTIRSI DEGNI e NON SENTIRSI ABBASTANZA. Vergogna, blocco e rinascita.

Il senso di indegnità può essere vissuto in modi differenti e, in chi lo prova, può interferire in maniera più o meno importante con le esperienze di vita e nelle proprie relazioni, rendendo difficoltosa la possibilità di sentirsi liberi di esprimersi e di manifestare i propri bisogni. 
Questo vissuto si lega a diverse sensazioni ed emozioni, tra le quali: vergogna, imbarazzo, disagio, senso di colpa, sensazione di non "sentirsi a posto" rispetto a una situazione, sentirsi difettosi, bloccati, tormentati (ruminazioni mentali, ossessioni), spaventati (paura del rifiuto, paura di essere umiliati, ecc.), ma anche rabbia, frustrazione, rancore (la rabbia riguarda ciò che un tempo è stato svilito, impedito o negato di sé e che oggi ci si impedisce, più o meno consapevolmente). 
Il senso di indegnità interferisce con la libertà di provare soddisfazione e piacere; può costituire, se presente, la base dei propri "blocchi alla vita", ossia un nucleo di sofferenza molto profondo, a volte non facilmente identificabile perché coperto da strati di emozioni, pensieri e blocchi che hanno una funzione difensiva.

L'origine di questo nucleo di sofferenza si colloca nell'infanzia e ha a che fare con quello che l'ambiente, i nostri genitori e le persone per noi significative, ci hanno trasmesso e come ci hanno fatto sentire. Il senso di indegnità può allora risiedere nel non esserci sentiti degni di essere di gioire gratuitamente, non esserci sentiti degni di essere visti, voluti, amati incondizionatamente, oppure non esserci sentiti degni di fiducia, oppure esserci sentiti in dovere ci farci carico di responsabilità altrui. In un modo o nell'altro, determinati nostri bisogni non sono stati considerati degni di attenzione o considerati negativamente: posticipati, trascurati, sviliti o puniti. Il senso di indegnità deriva da esperienze invalidanti differenti; ognuno ha la propria storia, con situazioni specifiche.

Questo vissuto può legarsi, inoltre, alla convinzione di non sentirsi abbastanza, che può portare a consumare molte energie per raggiungere determinati standard, con l'aspettativa implicita di venire accettati. Il non sentirsi abbastanza può portare, inoltre, ad abbattersi, a ingigantire gli errori, a temere fortemente i fallimenti, a irrigidirsi per "parare i colpi", che possono essere avvertiti con l'intensità del passato; situazioni apparentemente rilassate, possono riattivare il dolore del proprio senso di indegnità o il timore di ricontattare quel dolore.
Nel momento in cui è presente questo nucleo di sofferenza importante, può essere difficile contattare e accogliere la propria vulnerabilità, proprio perché porterebbe a ritoccare la ferita. La vulnerabilità può quindi essere percepita come qualcosa di inaccettabile, indicibile, pericoloso, osceno, da nascondere, difficile da gestire. Ci si può allontanare dalla propria vulnerabilità ritirandosi dal sentire e sviluppando blocchi, corazze difensive, fino a sintomi ansiosi.
I giudizi e i confronti alimentano la distanza e il disconoscimento di parti di sé, sostenendo in realtà la vergogna per il senso di indegnità che sta alla base.
Ci può essere la difficoltà ad accogliere un contatto autentico e profondo, ad accogliere i meriti, le attenzioni spontanee.
Si tende a "stare dietro" a una maschera, perché restare nei propri panni fa sentire meno sicuri. Questo mantiene una distanza di sicurezza dagli altri.
Accade, quando non ci si sente degni.
Ci si sente in qualche modo inferiori, mentre agli altri si trasmette magari un'aria di superiorità, mista a riservatezza.
Ma, a volte, ci si può sentire anche superiori; parte del proprio mondo si libera interiormente e si sviluppa, ma l'espressione è in parte bloccata all'esterno, nel timore di non essere compresi e nel sentore di essere diversi. La paura allontana dal contatto, fino a far sentire incapaci.
La libertà, la felicità e il piacere, ma anche la rabbia e la naturale carica aggressiva, possono attivare vergogna e senso di colpa. 
Questa morsa parla di quanto la propria vitalità sia in ostaggio del passato e di quanto ci si stia negando parte della propria libertà e dei propri diritti.
La vergogna è l'emozione principe legata al senso di indegnità. Mentre il senso di colpa riguarda qualcosa che abbiamo fatto, la vergogna riguarda il nostro essere: ciò che siamo; ha perciò un effetto maggiormente invalidante. 

Attraversare queste emozioni spaventose, permette di riconoscere quanto si siano introiettate le negazioni e le imposizioni subite in passato e quanto ci si racconti, nel presente, la grande menzogna del non essere degni e del non essere abbastanza. Una pericolosa menzogna che sostiene l'auto-invalidazione.
Quanto questa menzogna porta a "chiedere asilo" fuori da sé, nella ricerca di conferme e meriti? Ma anche, quanto porta a ritirarsi, per paura, quando arrivano conferme, meriti e vicinanza da parte degli altri?
Quanto la misura del proprio valore è legata ai propri meriti e ai propri risultati?

E' dentro noi stessi che possiamo trovare sicurezza.
Per recuperare l'integrità, il sentirci degni, abbiamo bisogno delle parti di noi che sono rimaste sotto le macerie di giudizi, confronti, svilimenti, negazioni, imposizioni. Abbiamo bisogno di aprirci alla loro vitalità e di piangere il loro dolore, di accogliere e liberare quel nucleo di sofferenza. Sono le emozioni di quel bambino innocente che eravamo, il bambino che credeva, gioiva e che si è sentito svilito nella sua espressione.
Questa parte di noi ha bisogno di essere sollevata e messa al riparo da qualsiasi confronto; questa accoglienza può liberare la nostra espressione, ma anche permetterci di cadere più liberamente.

Liberarci dai pesi del passato implica, inoltre, la presa di coscienza e l'accettazione di questo passato, il prendere atto del fatto che non ha potuto essere altrimenti; questo vuol dire lasciar andare alcune aspettative e mettere da parte i "se..", i "ma" e i "però..".
Il rancore riporta al passato e alimenta l'apertura della propria ferita. Abbiamo bisogno di darci ascolto, per lenire e lasciar cicatrizzare.

E' infine una grande concessione quella di aprirci alla comprensione del fatto che non siamo stati i soli, nella nostra famiglia, a subire negligenze e che, spesso e purtroppo, ciò che si subisce si tende a far subire a propria volta, nell'inconsapevolezza, nell'assenza di strumenti, nell'assenza di un adeguato amore. 
Arrivare ad accogliere questa realtà, permette di spezzare un ciclo invalidante.


Il passato è esistito realmente, ma il futuro ancora non esiste. Quanto ci permettiamo di vivere il dono del presente? 
Di coglierne la bellezza e di aprirci alla bellezza che è in noi? 
A proprio modo, con amore e coraggio di sentirsi dentro, si può rinascere proprio a partire dalle proprie ferite.








Commenti