IL CONFRONTO NON E' UN LUOGO SICURO

IL CONFRONTO NON È UN LUOGO SICURO,

è un luogo in cui ci si espone, un luogo di cambiamento, messa in discussione di possibili certezze, riflessione, ripensamenti, prese di coscienza, opportunità di incontro con l’altro e con parti di noi. E' un luogo che ci può portare oltre il conosciuto, oltre la propria attenzione selettiva che muove verso certe cose e non altre.

Il confronto può dare buoni frutti quanto più ci si permette di seppellire l’ascia di guerra anziché lottare con l'obiettivo di confermare la propria tesi. Nel confronto l'obiettivo, più che confermare, è conoscere. La relazione prevale sull'aver ragione. Per questo, il confronto è un atto di profondo rispetto; ed è una capacità che si può apprendere e alimentare e che mostra la cifra della propria adultità. 
Nel confronto cogliamo l'opportunità di stare in ascolto di quel campo che sta nel mezzo tra noi e l’altro. Quante volte ci concediamo di respirare in quel campo? Non è affatto scontato, può anzi spaventare il fatto di restare, restare in contatto con il tutto che accade; per farlo ci vuole coraggio, disponibilità, sospensione del giudizio o di pre-concetti rassicuranti.
La capacità di stare nel confronto implica il superare il dualismo che taglia in modo netto il torto dalla ragione, il giusto dallo sbagliato; implica l'andare oltre il puro principio, oltre il giudizio che affetta e rigetta pezzi di realtà, per abbracciare una dimensione più ampia che accoglie la relazione.

Nel CONFRONTO ci sono due ingredienti fondamentali:
- il restare disponibili, in apertura e in ascolto dei contenuti che arrivano dall’altro (che possono essere visti come fonte di arricchimento che aprono a una visione più ampia di quella che già si contempla, anziché qualcosa da cui difendersi)
- restando al contempo radicati su di sé e in contatto con sé.
Per aprirci all'altro e lasciarci andare alle onde del mare del confronto, è necessario sentirci prima di tutto radicati nelle nostre gambe e in accoglienza di noi stessi.
Può essere meraviglioso il fatto di restare in contatto con sé, permettendosi di restare al contempo in contatto con l’altro, quindi non perdere di vista/non occultare se stessi per l’altro e né l’altro per se stessi.
La capacità di stare in confronto contempla la “E” congiunzione, anziché la “O”: me e te, il mio sentire e il tuo, le mie istanze e le tue; dalle quali può nascere qualcosa di nuovo, altro ancora rispetto a ciò che entrambi già conosciamo, nuove esplorazioni, riflessioni, integrazioni.

UNA PICCOLA PRATICA
Osserviamo quanto spesso la nostra mente tende a fare a fette la realtà, con generalizzazioni e convinzioni più o meno rigide e consolidate, quanto tende a darci conferme a ciò che già conosciamo, e quanto ci permettiamo invece di lasciare la realtà complessa così com'è, unita, sospendendo il giudizio, lasciando aperte le domande, continuando a osservarla e così a conoscerla ..è come fare ancora un passo, prima di dire: ok, basta così. Può succedere che tacciando un'esperienza per qualcosa di conosciuto ci perdiamo la possibilità di conoscerla meglio e di viverla più pienamente. 
Il conosciuto è rassicurante, ma non è il presente.
Proviamo a osservare quanto mettiamo la “E” congiunzione nei nostri pensieri, nella nostra visione, nei nostri dialoghi, nelle nostre esperienze quotidiane. 
Quindi proviamo volontariamente a introdurla, questa “E”, nel nostro quotidiano; e sentiamo come ci fa stare, a fine giornata o nel corso delle giornate. Per esempio:
- io la vedo in un certo modo su un determinato tema, ma esistono anche altri modi, che potrei anche non conoscere. 
- Mi sembrano tutti così, ma questo è quello che io colgo perché è ciò che conosco.. mi permetto allora di contemplare che non siano tutti così; apro quindi il campo a ciò che potrebbe spaventarmi perché non lo conosco; provo ad andare oltre la mia attenzione selettiva, sospendendo il giudizio.
- Mi piace questa cosa, ma forse ci può essere anche spazio per quell'altra cosa; e così via. 
Non si tratta di accollarci cose in più che non vogliamo, ma si tratta di contemplare e lasciare che sia.
Proviamo a tenere insieme anziché dividere: e..e. Come passi, piccoli o grandi che siano, che portano oltre il conosciuto. Non è liberante? Non ammorbidisce il corpo?
Potremmo notare come le “E” che andiamo volontariamente a inserire, che a volte ci possono sembrare pure deliberate, influiscano sulla nostra visione e sulle nostre esperienze.

Questo può essere un piccolo esercizio quotidiano di integrazione e apertura a noi stessi e al mondo che abitiamo, che possiamo così andare ad abitare più pienamente e liberamente. Come per ogni pratica, la differenza la fa la costanza nel tempo, così come quando si impara a suonare uno strumento occorre fare le scale ogni giorno. Ma ogni pratica consente nuove acquisizioni e ciò che si va a integrare (di sé) é bellezza in espansione.
Buona continuazione..



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