Tollerare il proprio silenzio assordante per iniziare, a un certo punto, a udirne la musica. Ego e Cambiamento.
Il cambiamento non passa dal trionfo dell'ego, che come un’eco spinge a dimostrare se stessi, senza possibilità di risoluzione, in una spirale infinita.
Foto patinate. Chiaroscuri perfetti. Grandiosità in vetrina. Brama di traguardi raggiunti, che incessanti aprono la strada a ulteriori bisogni di traguardi.
Anche questo è lo specchio di una società bulimica, dove l’ascolto del proprio silenzio (seppur assordante), cede il passo al colmare, al di-mostrare, all'ottenere quella forma di nutrimento vacuo. Una bulimia che copre e che tenta di compensare una perdita di significato profondo.
E’ considerevole, ad oggi, la sottrazione dello spazio e del tempo per l'ascolto semplice e profondo, per i momenti da fotografare con il cuore e la coscienza e nulla più.
Considerevole è la perdita del silenzio e, per sopperire, la ricerca di soluzioni che rifuggono ancor di più da questo silenzio.
Ci sono tanti buoni motivi per fuggire, tantissimi, in un tempo come questo, dove risulta complesso mantenere uno spazio di silenzio, di senso e di solida identità.
A volte il ‘trionfo’ succede alla fine di una relazione finita male. Ci si rifà con il proprio ego, evitando così il contatto con le proprie parti scisse/rifiutate, con il dolore e con l’elaborazione del distacco, evitando la presa di responsabilità e l’acquisizione dell’insegnamento riguardo a ‘ciò che è andato storto’.
Questo trionfo, per quanto possa apparire una rivalsa, non costituisce alcun cambiamento.
Non è un trofeo in più a sancire un passo in avanti.
Stare ‘semplicemente’ in sé può essere molto doloroso e ognuno ha i propri tempi. Ma è necessario per intravedere le proprie parti scisse, per raccogliere le proprie parti spezzate e provare a restaurare una dolorosa frammentazione, se così è.
Ogni parte rifiutata e scissa non potrà che bussare alla propria porta fino a quando non verrà riconosciuta.
Può essere più semplice vedere il riflesso di questa parte nell’altro e rifiutarlo, per ciò che è intollerabile in sé. Ma solo quando si riporteranno a casa le proprie parti spezzate, smetteranno di tormentarci dall’esterno. E potremo allora riaprirci ‘nuovamente’ al mondo.
E se la propria ostinazione a vedere le proprie parti porta all’isolamento, alla negazione di un confronto genuino con l’esterno, non sarà questo isolamento a salvare. Ancora una volta, l’esterno rifletterà se stessi.
Ogni rottura del proprio equilibrio può essere un’occasione di ascolto e riconoscimento.
L'identità ‘si fa di sé’ nell’esperienza quotidiana, matura dal sentirsi abbastanza per come si è.
E' forse questo un concetto antiquato di identità, ma che lascia spazio e che consente al proprio essere la propria forma.
Non scappa nulla se ‘semplicemente’ si sta in contatto.. anzi..
Tollerare il proprio silenzio assordante è l'unico modo per iniziare, a un certo punto, a udirne la musica.
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