Il potere dei fallimenti e le strade verso casa. Storie di vita e di psicoterapia - Prima parte

A volte i fallimenti possono aiutarci a prendere coscienza di aspetti che tendiamo a non vedere, permettono di comprendere meglio in quale direzione stiamo andando o di ricominciare in maniera più costruttiva.
I fallimenti fanno parte della "sincerità della vita", favoriscono il crollo delle illusioni e svelano determinate realtà per quelle che sono, consentendo inoltre, a volte, di abbandonare sfide che non ci appartengono più.
Portatori di significato, frenandoci ci indicano una direzione.
Seppur dolorosi, possono aver molto da insegnare se scegliamo di stare in ascolto di ciò che accade.
Il vittimismo (capitano tutte a me.. ), il giudizio (sono tutti fatti così..), la rassegnazione (non c'è niente da fare..) e varie convinzioni invalidanti sono reazioni difensive che proteggono di fronte a un fallimento, giustificano e al momento possono costituire una forma di consolazione, ma non permettono di cogliere a fondo il significato del fallimento, né il nostro atteggiamento alla vita e le emozioni che possono scaturire. Stare in contatto, riconoscere e tollerare ciò che si prova ci mette a tu per tu con noi stessi e ci riconnette a delle parti di noi che magari tendiamo a reprimere; questa riconnessione favorisce importanti passi evolutivi.

Possiamo stare nell'esperienza del fallimento anche ponendoci alcune domande e dando il tempo alle risposte di maturare, senza fretta. Tra la chiusura difensiva e la ricerca di soluzioni immediate, c'è un mondo in cui sostare, fertile di significati.
Riporto in questo post (che avrà una continuazione in una seconda parte) una prima domanda generale, addentrandomi nelle esperienze di vita e di psicoterapia di due pazienti:

- Voglio realmente perseguire questa strada?
E perché, per quali motivi? 
(Posso provare a elencarli in ordine di importanza).
Chiederci questo aiuta a far chiarezza su quanto siamo guidati dai nostri bisogni oppure condizionati da aspettative esterne o da vari retaggi del passato.
Andiamo quindi a mettere a fuoco dove ci collochiamo rispetto ai nostri bisogni: quanto ne teniamo conto, quanto li coltiviamo e ci ascoltiamo o quanto possono essere distanti da noi o passare in secondo piano e rispetto a cosa?
E' invalidante quando, per non fallire riguardo a determinate prerogative, falliamo riguardo all'espressione e allo sviluppo di noi stessi, per quello che siamo e per come ci sentiamo.

I traumi e i divieti subìti per lungo tempo lasciano segni; anche quando la crisi o la repressione è finita, può attecchire un certo attaccamento alla sopravvivenza che porta, per esempio, ad adeguarsi e a cercare di resistere in una situazione nella convinzione che non ci possano essere possibilità migliori o che non si possa dire di no, ecc.
Se la strada che garantisce un'apparente sicurezza reprime i propri bisogni, desideri e attitudini, il prezzo da pagare potrà essere in termini di insoddisfazione, frustrazione, rabbia repressa, invidia, rassegnazione, stanchezza cronica, insonnia.
I condizionamenti sono come dei tiranti che ostacolano lo slancio nella propria vita. Le scelte dettate dalla paura di.. possono allontanare da sé fino a perdere la propria bussola, ossia la comprensione di dove si vuole realmente andare; ci si può sentire quindi confusi, deboli, sfiduciati nelle proprie capacità. Allora i fallimenti possono parlare, non della propria incapacità ma del fatto che si è su una strada che potrebbe non essere la propria ed è per questo che, magari, si sta procedendo a fatica.
Possiamo trovarci impegnati a sopravvivere quando lasciamo scegliere ai sensi di colpa o a convinzioni e ideali che in realtà non sono i nostri, ma che hanno influito potentemente sulle nostre scelte. Allora potremmo chiederci: quanto sto vivendo la mia, di vita? Oppure sto vivendo la vita di chi?
O quanto mi rifletto in un'immagine a cui cerco di adeguarmi?
Ci potremmo scoprire ad aspettare ancora una qualche autorizzazione che vorremmo avere dall'esterno..o dal passato. In realtà, è di noi stessi che abbiamo bisogno.
Posticipare la propria vita per sentirsi confermati non premia, ma anzi, aumenta dolorosamente il debito verso se stessi.
Fortunatamente, a volte sono proprio i blackout e il raggiungimento di un certo limite di sopportazione che fanno scattare, come una molla, la propria tensione alla vita, una carica a lungo sacrificata che a un certo punto fa riemergere da certe situazioni. Un amico, parlandomi di sè, una volta mi disse: "mi sono trovato a un certo punto così compresso che la mia reazione è stata come quella dei pagliacci di pezza chiusi nelle scatolette con una molla sotto, che schiacciandoli saltano fuori! Così io, dopo aver toccato il fondo, sono riemerso con un'energia inattesa".

Proseguendo in questo argomento, cito la storia di una paziente, una donna proveniente da una famiglia sopravvissuta dal punto di vista economico (che attraversò importanti crisi sotto questo aspetto) e sopravvissuta dal punto di vista affettivo: questa paziente fu una bambina poco vista e poco supportata affettivamente. In risposta a queste esperienze, Virginia (un nome di fantasia, per garantirne la privacy) maturò un forte bisogno di sicurezza dal punto di vista economico. Questo era un punto fermo per lei e, anche se aveva un buon lavoro, non contemplava l'idea di abbandonare una situazione sentimentale per vari aspetti insoddisfacente, ma che le garantiva ulteriore certezza economica. Sembrava valere l'equazione denaro = cibo = amore, un imprinting fissato nella sua memoria sin dall'infanzia, una pericolosa quanto inevitabile sostituzione per sopperire alla trascuratezza affettiva che aveva subìto. La bambina che era stata aveva trovato nel fattore economico la terraferma e una sorta di riconoscimento, un illusorio surrogato dell'affettività. Da adulta, la sua affettività era stata mediata da questa implicita equazione e aveva cercato l'amore con gli occhi di quella bambina, ritrovando una situazione caratterizzata da particolari mancanze.
Inoltre, guidata dal bisogno di "sistemare" la relazione e le carenze all'interno di questa, Virginia consumava diverse energie in questa direzione, proiettata in realtà verso il passato; questo atteggiamento la sottraeva da un ascolto profondo di sé e non le permetteva di aprire delle porte.
Era ricettiva e sapeva mettersi in ascolto delle persone che aveva accanto; i suoi consigli si rivelavano spesso ottime intuizioni; gli amici le rimandavano questa sua sensibilità, ma lei non ci badava fintanto che restava all'interno della sua zona di comfort: impegnata in questo compromesso, non poteva dar credito a se stessa fino in fondo, non poteva seguire le sue intuizioni, le sue qualità ricettive.. doveva rinunciare a parte di sé per adeguarsi ai bisogni di sopravvivenza della sua parte bambina, per cui nelle relazioni sentimentali prevaleva l'attaccamento rispetto all'amore.
Il suo conflitto interno, fra la bambina che era stata e l'adulta di oggi, si manifestava attraverso il disprezzo che emergeva a tratti verso di sé, nelle varie auto-accuse, nell'incapacità a mollare il controllo e a mollare una mente che non si arrestava e che andava a coprire la possibilità di un dialogo profondo.
Al tempo stesso, però, la sua relazione di coppia, caratterizzata da un certo distacco e mancanza di dialogo, lasciava spazio ad altre occasioni di incontro e ad esperienze di conoscenza di sé: si stava cercando. 
Mentre nella relazione appariva trascurata e non compresa, in queste esperienze emergeva curiosità, entusiasmo, vitalità.. ritagliava i suoi angoli di cielo. Questa energia, coltivata e convogliata in maniera sempre più integrata, poteva avere il potere di fortificare gradualmente la fiducia in se stessa, per andare a costruire un'altra terraferma, fino a liberarla da quegli aspetti di attaccamento che la rendevano insoddisfatta e che la facevano sentire in qualche modo delusa e fallita.
E' importante cogliere i piccoli spiragli di luce all'interno di sé, dove c'è soddisfazione e armonia. Da lì, con cura e ascolto, possono aprirsi strade sempre più ampie. 
Virginia aveva inoltre bisogno di accettare e piangere un antico fallimento, legato alla delusione dell'amore mancato nella sua infanzia; ciò che era stato non poteva tornare, né risolversi.
La non accettazione di antichi fallimenti relazionali che abbiamo vissuto con le persone più care, con i nostri genitori, ci lega a una sfida impossibile: voler ottenere ciò che non si è avuto e che ormai non può tornare. Accettare il fallimento è una resa estremamente costruttiva: ci permette di mollare sfide impossibili per poter muovere verso l'accettazione di noi stessi ..e di ciò che è possibile. 
Virginia sapeva che i suoi attaccamenti comportavano la rinuncia a parte del suo essere, lo sapeva con la mente ma non lo sentiva con il corpo. Fino a quando non prendeva maggiore contatto con la sua vitalità, non avrebbe potuto sentire nemmeno la rinuncia a tutto questo.
E' quando la consapevolezza mentale si unisce all'esperienza corporea che ci sentiamo spinti a un cambiamento. E l'esperienza corporea ha i suoi tempi.
Virginia imparò molto precocemente a fare da sè e ad asciugarsi le lacrime, a indurire parte di sé e a rinunciarvi, per poter andare avanti. Ora eravamo in cerca della sua vulnerabilità e morbidezza, che l'avrebbero rimessa in contatto sia con il dolore della sua ferita che con l'entusiasmo perduto. Ma per lasciarsi andare al suo sentire, era necessario costruire una base stabile dentro di sé, darsi fiducia e accogliersi.
Procedendo nel suo percorso, gradualmente iniziò a lasciar andare il giudizio rispetto alle sue fragilità, a "lasciarsi respirare" a prescindere dalle scelte che stava portando avanti. Questo fu un importante passo verso se stessa. E si continua.
Il cambiamento che porta a diventare se stessi e ad essere autonomi passa in primis dall'accettazione delle proprie fragilità e di quel bambino smarrito e spaventato che è dentro di sé e che tende ad "attaccarsi" al passato, perchè è ciò che conosce, anche quando il passato garantisce una sicurezza illusoria. A questo bambino è necessario costruire una terraferma, per permettergli di camminare e crescere.
Dandoci fiducia e facendo esperienza della nostra energia, comprendiamo di quanta forza e padronanza siamo capaci e possiamo costruire la nostra terraferma che accompagna verso la nostra auto-determinazione.

Riporto ora l'esperienza di un paziente, Mattia (anche in questo caso si tratta di un nome di fantasia).
Sin da piccolo, Mattia fu talmente schiacciato dalle aspettative dei suoi genitori da non aver avuto la possibilità di riconoscere i propri bisogni, le proprie attitudini, né di essere accettato per quello che era; veniva semmai accettato in base a quanto esaudiva le aspettative altrui.
Era stato un bambino coccolato, ma eccessivamente spronato in scelte dettate da altri, caricato di sensi di colpa nel momento in cui le disattendeva, invaso e invalidato nell'espressione dei suoi bisogni, barattati con bisogni esterni a lui. Aveva interiorizzato una potente ingiunzione: "se seguo me stesso farò star male gli altri, che non vorrebbero questo da me". La soluzione era quindi il disconoscimento di sé e l'adesione ad un modello esterno.
Le sedute di Mattia iniziavano spesso con la preoccupazione riguardo alla sua forma fisica e l'auto-rimprovero di doversi impegnare di più a livello sportivo, come a livello lavorativo; non veniva risparmiata nemmeno la sfera sentimentale da questo atteggiamento. Era costantemente proiettato verso gli obiettivi, inflessibile e severo verso di sé, bisognoso di conferme; così auto-punitivo da non riuscire più di tanto a procedere. L'atteggiamento che aveva con se stesso, la poca o nulla considerazione della sua interiorità, parlavano di quanto il suo spirito fosse stato spezzato sin dalla tenerissima età.
Quando le pretese verso di sé non tengono conto dei bisogni, i risultati non saranno mai abbastanza soddisfacenti, l'impotenza appresa può diventare una risposta e la fatica di vivere può portare a rifugiarsi in piccoli vizi, dipendenze, modi a volte controproducenti di scaricare la tensione.. quantomeno per attutire le frustate che arrivano dai propri giudizi.

Per quanto riguarda Mattia, il suo vero Sé, i bisogni e i desideri del fanciullo represso che era stato, furono sepolti vivi e, inconsciamente, si ribellavano ai dettami del suo inflessibile giudice interno, attraverso sintomi come inconcludenza, insoddisfazione, insonnia, impotenza; un conflitto estenuante. Solo diminuendo la sua auto-repressione poteva iniziare a guardarsi per capire chi era davvero e cosa poteva interessargli realmente.
Lavorando sul corpo, poco per volta iniziò a fermarsi e a sentirsi, a prendere coscienza dei suoi blocchi e della mole di rabbia repressa; le forti tensioni alla schiena e alla base della nuca non permettevano la connessione e il dialogo fra testa e corpo, fra doveri e bisogni, fra aspettative e realtà del sentire, oltre a occludere l'espressione di sé, la possibilità di reagire e ribellarsi.
Il disconoscimento di sé era una difesa dalla rabbia e dalla disperazione per ciò che gli era da sempre stato negato.
Iper-mentalizzazione, un eloquio frettoloso che non lasciava molto spazio al respiro e una lista assicurata di auto-rimproveri: la tendenza a fuggire da sé era talmente automatica che gli andava ricordato quasi continuamente che esistevano anche i suoi bisogni, oltre che mettersi al centro di un mirino. I movimenti del suo corpo manifestavano un certo sentirsi esausto da questa continua fuga.
Man mano che diede spazio al respiro, emerse gradualmente il bisogno di ritrovarsi, la fatica di liberarsi dalla sua stessa gabbia, ma insieme, anche la curiosità verso di sè e la graduale esplorazione dei suoi reali interessi. La percezione che aveva di se stesso cambiò gradualmente. Si rese conto di quanto le paure lo invalidassero e di quanto esistesse la possibilità di affrontarle, man mano che esplorava il suo sentire. Prese contatto con la paura di fare il primo passo, ma anche con la consapevolezza che, oltre al primo passo, la strada diventasse più percorribile e lui più leggero.
L'energia che sentiva emergere nel lavoro corporeo iniziò a guidare intenzioni e idee, in accordo con i suoi bisogni. Con gradualità e pazienza, era in atto un processo di mobilitazione e sintonizzazione corporea, emotiva e mentale.
In una situazione tanto costrittiva, all'interno del lavoro corporeo in analisi bioenergetica, ogni sbadiglio, ogni ammorbidimento, sono piccoli momenti di grazia che introducono in un processo di apertura e consapevolezza che può guidare verso "casa".
Ciò che può mobilitare davvero non sono le pretese verso di sè, ossia l'essere diretti dall'esterno, ma al contrario, il tornare a essere diretti dall'interno: ammorbidirsi e permettere alla propria energia di fluire e guidare nei propri movimenti, intenzioni, bisogni.. verso una sempre maggiore coerenza interna.
Non si può che fallire, a un certo punto, fintanto che non ci si autorizza ad essere se stessi.
Il riconoscimento di questo fallimento muove verso la ri-conquista di sé.

Come cambia l'esperienza quando la vita gradualmente si accorda al proprio sentire e ci si concede il tempo di essere, di provare e di sbagliare.. di tuffarsi nella propria vita, correndo il rischio di sganciarsi da un passato, il lusso di soffermarsi e l'avventura di affidarsi a sé.


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