Comprendere la malattia per aprirci a nuove primavere

Da tempo, l'essere umano si è allontanato dal legame naturale con l'ambiente; ha smarrito parte del dialogo, dell'ascolto e del riconoscimento verso l'ecosistema.
La rottura di questo legame ha anche comportato un allontanamento e una rinuncia a parte della propria natura, della propria sensibilità e armonia, in quanto del mondo naturale facciamo parte.
Questo allontanamento, a un certo punto, porta a pagare un caro prezzo: ci ammala e ammala l'ecosistema.
  • Volendoci elevare al di sopra del mondo naturale per dominarlo, ci allontaniamo dall'umana realtà di noi stessi e dalla nostra umana vulnerabilità; questo ci indebolisce, in quanto va a negare parte di noi, parte del nostro respiro;
  • ponendoci in antitesi con l'ambiente, perdiamo il nostro equilibrio;
  • aumentando il controllo sull'ambiente, rischiamo di smarrirci sempre più da noi stessi;
  • continuando a consumare la terra, andiamo gradualmente a privarci del nutrimento che potrebbe naturalmente fornirci.
L'idea di dominare l'ambiente porta, prima o dopo, a ritrovarsi inevitabilmente sottomessi. Nel dominio c'è squilibrio e ogni squilibrio provoca delle ripercussioni.
Un recente articolo del WWF riporta: 
"Esiste un legame strettissimo tra le malattie che stanno terrorizzando il pianeta e le dimensioni epocali della perdita di natura. Molte delle malattie emergenti, tra le quali il COVID-19, non sono catastrofi del tutto casuali, ma sono la conseguenza indiretta del nostro impatto sugli ecosistemi naturali. Gli ecosistemi naturali hanno un ruolo fondamentale nel regolare la trasmissione e la diffusione di malattie infettive come la zoonosi (malattie che si trasmettono dagli animali all'uomo) e quindi nel sostenere e alimentare la vita, compresa quella della nostra specie". 
Cambiare direzione, così su due piedi, non può essere immediato. Ma si rende sempre più necessaria una presa di consapevolezza che vada oltre gli interessi umani e che possa farsi veicolo per nuove possibilità.
Thorwald Dethlefsen nel libro Malattia e destino scrive:
"Il fine della malattia è quello di farci guarire, riattivando il dialogo con noi stessi. Secondo quest'ottica, non ha senso combattere la malattia, ma bensì utilizzarla per comprendere".

Le malattie manifestano il turbamento di un equilibrio, la perdita d'integrità; ci parlano di realtà negate, scisse, che non essendo riconosciute bussano attraverso il sintomo.
Alla luce di questo momento o a tu per tu con le proprie malattie, possiamo chiederci: cosa di noi abbiamo tagliato fuori, di cosa non abbiamo tenuto conto, cosa è stato escluso? 


Forse, una parte di vulnerabilità e di sensibilità.
Quando siamo consapevoli della nostra vulnerabilità, siamo portati a proteggerci prima che sia troppo tardi; sappiamo prenderci cura perchè sappiamo riconoscere i nostri bisogni, ne teniamo conto e siamo inoltre in contatto con la realtà circostante, comprendiamo quando fermarci. 
Negare la vulnerabilità significa invece rinunciare alla possibilità di fermarsi e ascoltarsi, a favore di richieste, condizionamenti, bisogni egoici di controllo, conferma, potere, … Negando la vulnerabilità mettiamo in ombra parte della nostra sensibilità e allo stesso modo manchiamo, in parte, di sensibilità verso l'ambiente circostante, non accorgendocene, con il fine di andare avanti.
La malattia può rimetterci quindi in contatto con sensibilità negate e con l'umiltà, che permette di tornare ad essere solidali e di ristabilire un piano di parità; tutti aspetti di cui abbiamo profondo bisogno, sia per noi che per l'intero pianeta.
Vista in quest'ottica, la malattia diventa un tramite per il riconoscimento e la riappropriazione di emozioni, pensieri, movimenti, parti di sé inascoltate e inabissate. Il sintomo incarna, nel vero senso del termine, ciò che abbiamo smesso di sentire e vedere; bussa prepotentemente quanto più ci si ostina a non vedere parti della propria realtà.


Non sarà così per tutti i sintomi, ma ci sono sintomi che parlano profondamente di noi stessi e che costituiscono delle critiche incarnate rispetto a ciò che manca, come afferma Rossella Sofia Bonfiglioli. Se osserviamo noi stessi da quest'ottica, di cosa potremmo accorgerci?

La guarigione di sé, a livello complessivo, comporta una re-integrazione che coinvolge sia il sentire del corpo che la consapevolezza mentale.
Guariamo davvero quando ci apriamo a noi stessi con disponibilità incondizionata, permettendo a ciò che è stato esiliato negli abissi della nostra oscurità, di riemergere e tornare cosciente. Questo comporta un passaggio dal giudizio, dalla difesa, dalla paura all'ascolto.
Guarire significa allora accogliere, riprendere a dialogare con, riconnettersi, re-integrare e riavvicinarsi alla propria unità e alla totalità di sé. 
L'unità tiene conto di noi stessi come dell'ambiente e tiene insieme: emozioni, affetti e parti di noi, dalle più piacevoli alle più scomode e dolorose; non contempla antitesi; è quindi accettazione della realtà, con le sue luci e le sue ombre.
Riconoscere e accogliere le nostre ombre, ci permette di non agirle oppure di non lasciarci da queste perseguitare, attivando invece un dialogo con loro, ai fini di una buona integrazione e gestione.


L'essere umano si è spinto tanto in là, da rendere sempre più evidente quanto la sua guarigione sia legata alla guarigione dell'intero ecosistema. Questa guarigione sembra comportare una sospensione, un lasciare che, un affidarsi ..fermarsi, prendere coscienza di questa realtà a cui siamo giunti.. 
Fermarci e abbassare i muri permette di tornare più umani e di tornare a vedere. Vedere, per esempio, il valore e il piacere della vicinanza, che non può essere sostituita da alcuna compensazione; vedere l'ambiente per tornare a considerarlo e a rispettarlo, permettendogli di svolgere la sua vitale funzione.
Il benessere è apertura, connessione. 
In questi giorni stiamo osservando quanto l'unione possa tirarci fuori da circostanze molto critiche e quanto l'ambiente, che ora sta prendendo un po' di respiro, stia tentando di ri-equilibrarsi ..mentre attendiamo il ritorno a quella che si usa definire normalità.
Chissà come andrà; quel che è evidente è che siamo tutti immersi in un processo di cambiamento che non è più possibile rimandare, che ci chiama a porci importanti domande e a raccogliere consapevolezza. Questa primavera sembra farci accorgere di dialoghi interrotti da molto tempo; da lì si può aprire un prezioso spazio per noi e per chi-cosa ci circonda..

Buona primavera!



Articoli e testi citati:
Malattia e destino, Thorwald Dethlefsen, Rudiger Dahlke
Il femminile traumatizzato, Rossella S. Bonfiglioli


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