Il complesso di inferiorità, la gerarchia e la parità del contatto.

Se il raggiungimento di scopi e doveri diventa una sfida che colloca noi stessi all'interno di una scala di valori, di una gerarchia, allora rischiamo di venire intrappolati in questa scala, oscillando nella forchetta che va dal sentirci “inferiori a” al sentirci “superiori a”.
Nella gerarchia non c'è libertà, né ascolto, tantomeno autostima, sia che ci si collochi sopra che sotto, in quanto la gerarchia mina l'accettazione di ogni parte di sé e quindi della propria complessità. E l'accettazione richiede parità.
Collocarsi in una gerarchia occulta la propria identità e sostiene, alla base, un complesso di inferiorità.
Le scale di valore permettono di dare un ordine e fare chiarezza su vari aspetti; possono esserci d'aiuto rispetto a diversi ambiti, ma possono rivelarsi deleterie se applicate al nostro valore intrinseco, un valore che esiste già di per sé.
"Inserirci" in una scala gerarchica ci porta nel giudizio e nel confronto, ci vincola a giudizi e confronti, ci divide e mina la nostra pace interiore.

Il complesso di inferiorità non si cura con i meriti o i risultati, ma con l'amore verso le parti di noi che "ci piacciono meno" e con la libertà di essere, giorno per giorno, a prescindere dai meriti o dagli sforzi per ottenere risultati. 
Il complesso di inferiorità, come di superiorità (due facce della stessa medaglia) si alimenta nella gerarchia.
In questo nucleo (complesso) non dimora l'ascolto ma la freddezza.
Avvicinandoci con ascolto potremmo sentirne la sofferenza, indurita e incapsulata da barriere di giudizi e confronti. Sentire l'emozione scioglie l'indurimento e la tensione (che vincolano questa emozione).
Per sciogliere questo nucleo (complesso di inferiorità) è necessario il calore del contatto e dell'ascolto di sé, che possono essere raggiunti ponendosi in una condizione di parità con se stessi (assenza di giudizi, che permette l'avvicinamento delle parti di sé rifiutate): la reale comprensione di se stessi può esserci nel momento in cui riusciamo a sentire quali emozioni stiamo provando, nel momento in cui ci diamo “contatto”. Contattando la sofferenza bloccata in un complesso di inferiorità, oltrepassiamo le barriere di ogni gerarchia, smettiamo di porci in confronto e ci accogliamo. Ci avviciniamo alla verità del sentire e cogliamo l'inganno dei giudizi
I giudizi sono forme di non accettazione di determinate realtà; semplicemente bloccano, non solo gli altri, ma anche noi stessi; reprimono la nostra sofferenza e non le permettono di "compiere la sua funzione". 
Il giudizio verso l'altro può nascondere il mancato contatto con una parte di noi.

Quando siamo in contatto con l'altro, eventuali giudizi cedono il posto alla comprensione. La stessa cosa accade quando siamo in contatto con noi e con parti di noi: non le giudichiamo, ma le comprendiamo, perché riusciamo a sentirle, le contattiamo.
Dove diamo contatto, ci allontaniamo dal giudizio e recuperiamo unità e fiducia in noi stessi.
Il complesso di inferiorità ci relega al vittimismo e si oppone all'accoglienza della nostra reale e umana fragilità, un'accoglienza che permette di affrontare le proprie paure.

Uscendo dalla gerarchia, possiamo avvicinarci e aprirci realmente a noi stessi per quello che siamo. Nella parità del contatto oltrepassiamo i complessi, per accoglierci, in una più vasta complessità, più liberamente e senza compromessi.







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