La paura che si sta diffondendo per il coronavirus, nel momento in cui diventa allarmismo, si aggancia facilmente a paure di altra natura: paure interne a sé, magari messe spesso “sotto il tappeto”, ma che, insidiose, rispuntano a galla agganciandosi alle vicende esterne.
La mente non ama l'incertezza, ama collocare le emozioni scomode in situazioni tangibili (situazioni che diventano "contenitore"); gli eventi esterni possono essere strumentalizzati a questo scopo. Convogliare le proprie preoccupazioni in qualcosa di "certo" fa stare più "tranquilli": così sappiamo a cosa sia dovuta la nostra paura!
Anche se non è detto che sia davvero così.
Quando la paura oltrepassa la reale pericolosità della situazione esterna, ci stiamo distraendo dalla prima causa di questa paura.
E' importante allora riconoscere la presenza di possibili “aggressori/persecutori interni” (le parti di noi che alimentano paura, che ci attaccano, ci spaventano e ci bloccano) per andare alla radice di questo vissuto.
Gli aggressori/persecutori interni vengono spesso e volentieri esteriorizzati e proiettati su potenziali pericoli esterni.
Il coronavirus, si dice, non sembra sia davvero così pericoloso, come l'allarmismo ci fa invece credere; chissà che il nostro corpo non lo stia già metabolizzando attraverso alcuni tollerabili sintomi.
Il corpo reagisce; ma quanto nelle nostre preoccupazioni echeggiano paure lontane, che vanno forse ben al di là di un coronavirus?
Le mascherine non proteggono dai pericoli che percepiamo dentro di noi, ai quali si collega il senso di fragilità e gli aggressori interni.
Proviamo ad ascoltarci per consapevolizzare.
La risposta sta nel prenderci cura di noi in maniera complessiva, a partire dal riconoscimento delle nostre paure (a volte ormai segrete pure a noi stessi) e dall'accoglienza del nostro senso di fragilità.
Quanto ci sentiamo fragili internamente? O "non a posto"? O difettosi?
Quanta paura e "blocco" c'è dentro di noi?
Più è grande la paura e più tenderà a bloccarci, per difenderci anche dai pericoli infondati.
Mentre si corre ai ripari da qualcosa di esterno, che probabilmente e comunque farà il suo corso, ci si distrae dalla vera fonte delle proprie paure, qualcosa di meno visibile e più complesso da affrontare.
Il virus esterno dona un'apparente tangibilità alle nostre paure, ma non risolve il problema. Il coronavirus sembra stia sollevando un polverone in cui ci sia ben altro, oltre al virus.
Più i nostri “aggressori-persecutori interni” sono feroci, più temiamo potenziali attacchi esterni; temendoli, li andiamo a cercare; andiamo quindi a cercare, inconsapevolmente, chi potrebbe indossare le vesti di queste nostre parti difensive e persecutorie.
Gli aggressori interni, spaventandoci, ci bloccano verso l'esterno e così ci proteggono, anche quando l'esterno è più tollerabile e meno pericoloso di quel che “credono”.
E' importante osservare con quali filtri si guarda e si vive la realtà e quanto i filtri “spaventosi” siano, inoltre, alimentati da determinati provvedimenti e pressioni esterne.
Siamo nell'era della globalizzazione e, a maggior ragione, ognuno può ed è in dovere di tenersi stretto il proprio cervello e riconoscere il proprio sentire, con amore ..affinché il corpo non diventi ricettacolo degli effetti di paure non risolte, non riconosciute e non accolte, al di là di un possibile "attacco da coronavirus".
Oltre l'amuchina, non rinunciare all'ascolto sincero di te stessa/o.
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