Potremmo
sintetizzare il valore del lavoro psicoterapeutico in una frase:
accompagnare la persona verso l'accettazione della propria umana
fragilità. Perché è proprio di questo che abbiamo bisogno per
sentirci completi, integri, sereni e morbidi, ricettivi ..vivi!
Accettare la propria FRAGILITA' può significare molte cose.
Per
esempio, ha a che fare con il poter FALLIRE, SBAGLIARE. E se non
tolleriamo di fallire o di sbagliare, come possiamo "provarci"
nella vita? Come possiamo migliorarci, promuovere il nostro sviluppo?
Come facciamo a riconoscere i nostri errori e a prendere il coraggio
di chiedere scusa quando occorre, restaurando e riappacificando le
nostre relazioni?
Se non avessimo coscienza della nostra fragilità, come potremmo percepire i nostri umani limiti e CONFINI? Autoregolarci? Concederci il riposo quando ne sentiamo il bisogno?
La fragilità rimanda anche alla MORBIDEZZA. Senza questa, come possiamo abbandonarci a un abbraccio profondo, condividere le nostre verità, consolarci, mostrare quella comprensione che solo l'accettazione della fragilità può svelare? Poterci lasciar andare e poterci sollevare? Poter cambiare? Tollerare le diversità e i momenti critici?
Fragilità ha a che fare anche con VULNERABILITA' e IMPERFEZIONE. Proprio queste ci rendono unici.
La
bellezza che avvicina è data dalla perfezione, sempre uguale a se
stessa, o da una "complessa fluidità" che abbraccia anche
le naturali imperfezioni e vulnerabilità?
Imperfezioni
e vulnerabilità caratterizzano i "segni particolari" e la
particolare bellezza di ognuno.
La
bellezza non scinde, non divide, ma abbraccia. In questo abbraccio,
sta anche la fragilità, che fa parte della vita. Portala con te,
accoglila, e vedrai che ti aiuterà ad affrontare le paure,
ammorbidirà il tuo sguardo e ti aprirà ai tuoi passi.
Se
non siamo in contatto con la nostra vulnerabilità, come possiamo
lasciarci andare?
Nella fragilità sta inoltre la SENSIBILITA'. E penso alle esperienze dolorose, fino a quelle traumatiche, che provocano una cosiddetta "frammentazione della personalità". Dalle fessure di questa frammentazione, dolorose, delicate, si possono aprire inaspettati riflessi e sorprendenti spiragli; da lì può emergere una luce potente. E in fondo a quelle fessure stanno gli abissi, le proprie zone oscure, dalle quali spesso di tende a scappare. Ma nel momento in cui si resta, dalla profondità più nera possono nascere le grandi ispirazioni.. e trasformazioni.
Un'emozione che blocca l'espressione libera di sé, e perciò anche della propria fragilità, è la VERGOGNA. Questa emozione può riguardare condizionamenti invalidanti che abbiamo subìto, divieti, umiliazioni, fino a traumi. La vergogna ha a che fare con la perdita di uno stato di innocenza, con il senso di colpa, con il giudizio puntato come un farò verso di sé. Questa emozione può diventare un muro alla nostra espressione. Un muro che ci divide dalle nostre parti fragili, morbide, umane. Le stesse parti che ci guidano al contatto e alla spontaneità.
Il contrario della fragilità è la DUREZZA, la RIGIDITA'.
Ecco,
reprimere la nostra fragilità ci fa irrigidire, nel corpo e nella
mente. Questo porta a vivere "difensivamente".
La
rigidità mantiene intatte e vigili le nostre paure: paura di
soffrire, paura di sbagliare, paura di essere umiliati, paura di
essere abbandonati, paura paura paura.
Alexander
Lowen diceva "un muscolo cronicamente teso è un muscolo
spaventato, altrimenti non si opporrebbe con tale resistenza al
fluire della vita e dei sentimenti".
La
rigidità blocca: sentimenti, abbandono, condivisione, connessione
alla vita, nuove aperture. Prende il sopravvento in risposta alle
ferite della vita, ai condizionamenti, ai traumi. E' una risposta
difensiva alle sofferenze, ma è proprio irrigidendoci che
tratteniamo e manteniamo queste sofferenze: congelandole,
reprimendole, nel corpo e nella psiche, non concedendo loro vie di
fuga, o di espressione. Con l'illusione di eliminarle, scegliamo di
tenercene lontani; ma in realtà non le lasciamo andare, non lasciamo
fare loro il loro corso.
Perciò,
la rigidità non solo blocca; ma, anche, non lascia andare. Mantiene
in stallo.
La
rigidità/tensione ha una qualità FREDDA: in un muscolo teso
l'ossigeno scorre meno fluidamente. Quindi, meno energia, meno
calore, meno sensibilità.
E così la non accettazione della nostra fragilità ha a che fare con il congelamento di parte della nostra vitalità. Una vitalità tenuta sotto scacco dalla paura, dalla vergogna e dal senso di colpa.
Senza
l'accettazione della nostra fragilità, la vita può rivelarsi
davvero dura, faticosa. E non reale, perché è irreale una vita
senza fragilità.
Dissociandoci
dalla nostra fragilità ci dividiamo da parti di noi. E questo ha un
prezzo molto alto: ci indebolisce, alimenta l'incertezza e
l'insicurezza riguardo a noi stessi, o la finzione, fino al senso di
alienazione e di estraneità.
Questa
mancanza può portare a derive, dipendenze, maschere.
Meno
siamo stati accolti e compresi in passato, nella nostra sensibilità
e nei nostri bisogni, e più tenderemo a non riconoscere, allo stesso
modo, le parti di noi svilite, umiliate, negate. Ma sarà proprio
questo atteggiamento a renderci fragili.
Allora
la nostra corazza e rigidità potrebbe essere scambiata per forza, ma
in realtà ostacolerà la nostra libertà.
Dover mantenere una posizione di forza e di controllo, non sempre in accordo con ciò che si sente: stanca.
Non
sentire la possibilità di poter bilanciare le responsabilità o di
poter delegare, facendosi carico anche delle responsabilità altrui:
satura.
Dover
corrispondere invariabilmente alle aspettative degli altri: soffoca dentro.
Dover
mantenere il sorriso, anche quando dentro ci si sente stanchi o non
soddisfatti o affranti o semplicemente annoiati: ci costringe ad
avere una maschera e promuove rapporti distanti, in cui il sorriso
diventa ostacolo al reale contatto.
Dover
andare avanti, oltrepassando gli equilibri del corpo: debilita.
Dover
mantenere, sempre e comunque, una posizione di superiorità:
irrigidisce e "divide" emotivamente, perché ci distacca dalla
nostra umanità, che per essere vissuta ha bisogno di contatto e
parità.
Ma
anche, dover mantenere, oltre le condizioni, l'immagine di persona
buona e comprensiva: nega l'amor proprio e, giudicandolo egoistico,
apre la strada alla crescita di forme di egoismo subdolo, quali:
pretesa, vittimismo, rigida aspettativa che l'altro debba dire o
fare.., attaccamenti che non vanno di pari passo ai reali sentimenti.
La
non accettazione della fragilità indebolisce e può alimentare
derive, dipendenze, maschere.
Esplorare e aprire l'accesso alla nostra naturale fragilità ci permette di ri-unirci a noi stessi, di ritrovare la "nostra" armonia, di recuperare la naturale forza ed energia per procedere su basi più solide.
Accogliere
la nostra fragilità ci rende liberi. E più sicuri.
Sabato 15 febbraio, a Torino, ci sarà una giornata di psicoterapia di gruppo ad approccio bioenergetico, su questo tema.
Sarà
uno spazio di ascolto, di esperienze e di possibilità, in cui
ognuno, per come si sente, potrà esplorare e approfondire il
contatto con le proprie parti vulnerabili.
Attiveremo
l'ascolto e la comunicazione con la nostra interiorità, muovendo
verso l'ammorbidimento delle nostre barriere interne, fisiche e
psichiche.
La
paura e la rigidità sono i cancelli che bloccano l'accesso alle
nostre parti vulnerabili. Ma dietro a questi cancelli, non c'è solo
vergogna o sofferenza.
Queste
parti custodiscono un movimento alla vita e un entusiasmo che un
tempo è stato in qualche modo ostacolato o represso.
Recuperare e mobilitare la "compassione" e la cura amorevole verso di
noi, apre le nostre barriere e ci libera.
Per
colmare davvero le mancanze, appropriarci della certezza e della
sicurezza in noi stessi, è necessario permettere a queste nostre
parti svilite, piene di vergogna, spaventate, di fare ritorno a casa.
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