Andare chissà dove, per capire che si aveva solo bisogno di silenzio.

Il piacere di vivere incondizionato ci rimanda al senso della vita.
Di questi tempi, in cui si tende ad associare il valore delle persone alla loro esteriorità e ai loro traguardi, può sembrare un'esperienza rara.
Quanto siamo in contatto con questo piacere incondizionato?
Quanto riusciamo a viverlo?

I bambini ce lo mostrano: nelle risate di gioia, nella piacevole attenzione e dedizione che ripongono in quello che fanno, nella ricchezza espressiva della loro voce, nel desiderio di contatto.
Ognuno di noi custodisce il ricordo indelebile di sapori e odori della propria infanzia. 
Piaceri appaganti, di cose semplici.

Crescendo, aumentano le condizioni e i "filtri", la relazione con il piacere di vivere si contamina. 
Se siamo abituati a sentirci vincolati da pressioni e doveri e a dirigerci in funzione di questi, sapremo trovare la strada, la nostra, qualora ci dovessimo muovere in uno spazio libero? Sapremo lasciarci guidare da noi stessi, o sostare negli "spazi vuoti"?

Quello che ieri è stato bloccato o negato, rischia oggi di essere dimenticato. 
Se parte del piacere di vivere si inabissa nei propri blocchi, osteggiato e sostituito dal dovere di vivere, potremmo cadere in confusione e rischiare di porre il significato ultimo della vita nei traguardi esterni, nella ricerca di un traguardo dietro l'altro, o potremmo rischiare di aggrapparci alle conferme, confondendole con qualcosa di necessario. 
La grande ricerca di conferme tiene vivi i bisogni insoddisfatti. E la loro insoddisfazione.

E' vitale riuscire a distinguere l'appagamento vero dai "veli di gloria" che coprono l'insoddisfazione.
Il semplice e appagante piacere di vivere arriva inaspettato, emerge nel sostare, più che nel continuo ricercare.

Ansia, insonnia, difficoltà a "stare", parlano di una perdita: la perdita del proprio silenzio, del piacere senza fini, del sollievo. 
Parlano del tempo mancato che è diventato automatismo. 
Della tensione e della paura a lasciar andare. 
Dei ritmi accelerati che non danno tregua. 
Dei mancati meriti e delle mancate concessioni.
Delle parti di noi stessi che temiamo e allontaniamo,
disconoscendone il bisogno.

Allora può accadere di guardare un tramonto, eppure la mente porta via e non permette di sostare. Cose da fare, incombenze, scadenze: proprio lì, proprio in quel momento arrivano. 
O come quando si aspetta la pausa caffè e finalmente: con l'aroma sotto il naso, si è già altrove. Non si riesce a gustare. 
E via dicendo. 
Quante occasioni mancate mancano già nell'istante in cui ancora siamo lì. 
Ma dentro di sé, sembrano già perse. 
Occasioni disturbate troppo a lungo in un tempo lontano. 
Si ricercano, e una volta lì, sfuggono. 
Quasi che, pure il piacere, ce lo si debba imporre.




Accedere al nostro spazio di silenzio, ci consente di abbandonarci. Riposarci. Assaporare la vita. 
In quanto stiamo facendo tesoro della nostra terraferma.
Non stiamo cercando di.. Stiamo vivendo
ci stiamo adagiando nel contatto
lasciando emergere "i nostri movimenti interni"
il nostro sentire risonante che ci unisce all'esperienza.
, siamo altrove dagli obiettivi, siamo nel sentire.

Se lasciamo andare le ancore
e attendiamo un momento.. ancora un momento
prima che la mente riprenda a domandarsi e ad attorcigliarsi su se stessa
oltre la noia, la fretta, l'insoddisfazione che cerca riparo, la paura del vuoto
continuando a restare, a respirare, a osservare
ecco che si svela davanti a noi la bellezza del presente
suoni, colori, odori
notiamo, assaporiamo, tocchiamo
finalmente ci sediamo
avvolti nell'esperienza
siamo parte di quest'armonia
lo siamo sempre stati
ma quante volte ne perdiamo il contatto
anestetizzati da brusii di fondo
sganciati da noi stessi.

Prima di qualsiasi traguardo o condizione, c'è vita!

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