La solitudine si distingue dall'isolamento: è un aprirsi a sé anziché un chiudersi.
E' uno spazio di raccoglimento in cui comprendere dove siamo e come stiamo, un fare silenzio per poterci ascoltare. In questo spazio intimo e "di respiro" approfondiamo il senso di noi stessi, osserviamo il nostro modo di muoverci in determinate situazioni.
In solitudine tocchiamo la nostra anima e il nostro sentire, scendiamo nella nostra terraferma.
Abbiamo bisogno di solitudine per conoscerci, per riconoscere i nostri punti di vista, per dare forma alle nostre idee e sviluppare le nostre personali riflessioni.
Perciò, solitudine significa anche nutrire il proprio VALORE, un valore che non ha a che fare con spinte egoiche ma con la verità e la sostanza di sé.
La capacità di stare in solitudine ha a che fare con la capacità di tollerare noi stessi, con i nostri complessi e le nostre risorse.
Solitudine è darci spazio. È spazio di riflessione. Da questo spazio possiamo imparare anche a tollerare le volte che ci sentiamo "fuori posto" e osservare quanto, in questo sentire, possa echeggiare una ferita antica che lascia traccia nel presente e contamina ciò che realmente siamo; oppure, il sentirci fuori posto può farci riflettere su quanto ci autorizziamo a trovare e a prenderci il nostro posto.
È in solitudine che ci si lecca le ferite, che si prova e si impara a fidarsi e ad affidarsi a sé, in quanto non si teme il proprio "vuoto", ma lo si accoglie.
A livello energetico, i momenti di solitudine ci aiutano ad imparare a tollerare, a sostenere e a gestire la nostra "carica", interrompendo il bisogno di disperderla in maniera improduttiva, di scaricarla in maniera reattiva o di metterle un tappo attraverso compensazioni di vario tipo.
La carica energetica si osserva nell'intensità delle emozioni e nell'atteggiamento alla vita.
Alcuni esempi che indicano la difficoltà a tollerare la propria carica possono essere: "mi sento profondamente triste / sento di aver fallito / mi sento in colpa / in difetto / pieno di vergogna.. non riesco ad arginare queste emozioni e a tollerarle. Così le blocco e metto un tappo: mangiando, bevendo, riempiendomi di impegni, ecc.; oppure le vuoto sull'altro e l'altro diventa il mio contenitore; o ricerco l'altro non tanto per la sua compagnia, ma per la paura di stare solo e per il bisogno necessario di un appoggio; o ancora proietto queste mie emozioni sugli altri.
Altro esempio: "mi sento in collera con qualcuno e, non riuscendo a sostenere questa emozione, la disperdo e la scarico prendendomela con gli altri e ritrovandomi ancora più arrabbiato o sentendomi, in un secondo momento, solo e in colpa".
La tolleranza alle emozioni si coltiva, anche lasciandole sostare nella solitudine, nel proprio spazio di ascolto, fatto di silenzio e non di giudizio, lontano da brusii "esterni".
Tollerando la mia carica, imparo a sostenerla e a gestirla. E aumenta la tolleranza verso l'esterno e verso chi sento diverso da me.
Perciò, poter sostare nella nostra solitudine significa stare sulle nostre gambe, essere adulti e AUTONOMI.
La solitudine è inoltre il bacino dal quale si alimentano l'ispirazione, il desiderio di creare e la capacità di stare in relazione.
Se sappiamo transitare nella nostra solitudine e anche gustarcela, potremo costruire allo stesso modo RELAZIONI nutrienti, che non fungeranno da stampella, che non alimenteranno dipendenza o sterili nutrimenti narcisistici o bisogni di conferme mai sazi, ma potranno essere fonte di soddisfazione. Relazioni, quindi, dove l'autonomia di ognuno permette uno spazio di ascolto anche per l'altro e un amore sincero e meno condizionato dai bisogni antichi (che solo noi stessi possiamo "curare").
L'ANSIA ostacola la solitudine e perciò la riflessione, il contatto con se stessi, la tolleranza della propria "carica", la discesa in sé. E così ostacola la maturazione di sé, tenendo sospesi, aggrappati all'esterno, nel tentativo di ricucire qualcosa di interno. Si auto-alimenta, non trovando riparo e chiamando "in soccorso" altra ansia.
Ansia e assenza di tempi vuoti si riflettono in un respiro che ha difficoltà a scendere nel corpo; che non concede profondità. Sono fughe da sé, vani tentativi di riempimento, tentate soluzioni al non sentirsi abbastanza, che portano ad appagamenti brevi e instabili. Gli appagamenti di una società consumistica. Nell'ansia possiamo osservare la paura di restare in contatto con sé, la difficoltà a "fidarsi" di sé, la mancata percezione di terraferma.
La prima terraferma è dentro di noi, lì troviamo la realtà di ciò che siamo e da lì coltiviamo l'accettazione, non solo dei nostri pregi ma soprattutto dei nostri difetti e dei nostri naturali limiti.
E l'accettazione è il biglietto per la vita, una vita vissuta con più interezza e meno rinunce.
E' uno spazio di raccoglimento in cui comprendere dove siamo e come stiamo, un fare silenzio per poterci ascoltare. In questo spazio intimo e "di respiro" approfondiamo il senso di noi stessi, osserviamo il nostro modo di muoverci in determinate situazioni.
In solitudine tocchiamo la nostra anima e il nostro sentire, scendiamo nella nostra terraferma.
Abbiamo bisogno di solitudine per conoscerci, per riconoscere i nostri punti di vista, per dare forma alle nostre idee e sviluppare le nostre personali riflessioni.
Perciò, solitudine significa anche nutrire il proprio VALORE, un valore che non ha a che fare con spinte egoiche ma con la verità e la sostanza di sé.
La capacità di stare in solitudine ha a che fare con la capacità di tollerare noi stessi, con i nostri complessi e le nostre risorse.
Solitudine è darci spazio. È spazio di riflessione. Da questo spazio possiamo imparare anche a tollerare le volte che ci sentiamo "fuori posto" e osservare quanto, in questo sentire, possa echeggiare una ferita antica che lascia traccia nel presente e contamina ciò che realmente siamo; oppure, il sentirci fuori posto può farci riflettere su quanto ci autorizziamo a trovare e a prenderci il nostro posto.
È in solitudine che ci si lecca le ferite, che si prova e si impara a fidarsi e ad affidarsi a sé, in quanto non si teme il proprio "vuoto", ma lo si accoglie.
A livello energetico, i momenti di solitudine ci aiutano ad imparare a tollerare, a sostenere e a gestire la nostra "carica", interrompendo il bisogno di disperderla in maniera improduttiva, di scaricarla in maniera reattiva o di metterle un tappo attraverso compensazioni di vario tipo.
La carica energetica si osserva nell'intensità delle emozioni e nell'atteggiamento alla vita.
Alcuni esempi che indicano la difficoltà a tollerare la propria carica possono essere: "mi sento profondamente triste / sento di aver fallito / mi sento in colpa / in difetto / pieno di vergogna.. non riesco ad arginare queste emozioni e a tollerarle. Così le blocco e metto un tappo: mangiando, bevendo, riempiendomi di impegni, ecc.; oppure le vuoto sull'altro e l'altro diventa il mio contenitore; o ricerco l'altro non tanto per la sua compagnia, ma per la paura di stare solo e per il bisogno necessario di un appoggio; o ancora proietto queste mie emozioni sugli altri.
Altro esempio: "mi sento in collera con qualcuno e, non riuscendo a sostenere questa emozione, la disperdo e la scarico prendendomela con gli altri e ritrovandomi ancora più arrabbiato o sentendomi, in un secondo momento, solo e in colpa".
La tolleranza alle emozioni si coltiva, anche lasciandole sostare nella solitudine, nel proprio spazio di ascolto, fatto di silenzio e non di giudizio, lontano da brusii "esterni".
Tollerando la mia carica, imparo a sostenerla e a gestirla. E aumenta la tolleranza verso l'esterno e verso chi sento diverso da me.
Perciò, poter sostare nella nostra solitudine significa stare sulle nostre gambe, essere adulti e AUTONOMI.
La solitudine è inoltre il bacino dal quale si alimentano l'ispirazione, il desiderio di creare e la capacità di stare in relazione.
Se sappiamo transitare nella nostra solitudine e anche gustarcela, potremo costruire allo stesso modo RELAZIONI nutrienti, che non fungeranno da stampella, che non alimenteranno dipendenza o sterili nutrimenti narcisistici o bisogni di conferme mai sazi, ma potranno essere fonte di soddisfazione. Relazioni, quindi, dove l'autonomia di ognuno permette uno spazio di ascolto anche per l'altro e un amore sincero e meno condizionato dai bisogni antichi (che solo noi stessi possiamo "curare").
L'ANSIA ostacola la solitudine e perciò la riflessione, il contatto con se stessi, la tolleranza della propria "carica", la discesa in sé. E così ostacola la maturazione di sé, tenendo sospesi, aggrappati all'esterno, nel tentativo di ricucire qualcosa di interno. Si auto-alimenta, non trovando riparo e chiamando "in soccorso" altra ansia.
Ansia e assenza di tempi vuoti si riflettono in un respiro che ha difficoltà a scendere nel corpo; che non concede profondità. Sono fughe da sé, vani tentativi di riempimento, tentate soluzioni al non sentirsi abbastanza, che portano ad appagamenti brevi e instabili. Gli appagamenti di una società consumistica. Nell'ansia possiamo osservare la paura di restare in contatto con sé, la difficoltà a "fidarsi" di sé, la mancata percezione di terraferma.
La prima terraferma è dentro di noi, lì troviamo la realtà di ciò che siamo e da lì coltiviamo l'accettazione, non solo dei nostri pregi ma soprattutto dei nostri difetti e dei nostri naturali limiti.
E l'accettazione è il biglietto per la vita, una vita vissuta con più interezza e meno rinunce.
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