Di molte buone intenzioni per "far andar bene le cose" è lastricata la via dell'inferno.
Quante volte, dietro a queste intenzioni si annidano bisogni e paure che non si ammettono neanche a se stessi?
Mi riferisco a quelle buone intenzioni che, seppur tutt'altro che confortevoli, in qualche modo fanno comodo, ma non hanno a che fare con la libertà, né con l'amore o con un sentimento spontaneo.
Fanno comodo a delle parti di sé, le sostengono e sostengono l'immagine che se ne vuole dare; sostengono fittizie sicurezze, che parlano in fondo della nostra vulnerabilità.
Ci sono buone intenzioni che in fondo nascondono subdoli egoismi, coperti da apparente altruismo.
O buone intenzioni che coprono, fino a diventare stampella di proprie fragilità, paure, rigidità.
Queste buone intenzioni si riconoscono dall'insoddisfazione, dalla frustrazione e dalla mancanza di piacere che creano a lungo andare.
Riconoscere i propri "edulcoranti" mostra quanto si tacciono parti di sé. E quanto altre "parti" siano difficili da abbandonare.
Essere semplicemente se stessi è un dono tanto grande, che a volte potrebbe sembrare spaventoso. Il prezzo di una libertà sganciata da tornaconti impliciti, conferme, ingiunzioni.
Facendo appello a noi stessi possiamo lasciar andare, possiamo "scoprirci", al di là del fatto di venire appagati o traditi. Più riusciamo a tollerarci e a sostenerci per ciò che siamo, più tutto diventa sostenibile.
Il piacere del confronto, della curiosità dell'altro, della condivisione, dell'esperienza che unisce e che scalda, lo sperimentiamo quanto più ci sentiamo liberi di essere.
Non è la buona intenzione, è la libera motivazione che..
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