"Son fatta così"..? Questioni naturali e culturali.

Viviamo in un mondo più a misura di uomo che di donna. I modelli nella nostra società sono prevalentemente maschili e hanno caratteristiche quali: settorializzazione, specializzazione, competizione per esempio (guardiamo nel lavoro, nella scuola, nell’approccio medico e scientifico, ecc.) anche se ultimamente ci si sta affacciando a un cambiamento.
Le donne si sono abituate a un mondo che spesso non è a loro misura, fino al punto da perdere il contatto con determinati aspetti (femminili) di sé. Ci si può "dimenticare" di parti di sé che non hanno avuto spazio, che non si sono sviluppate o che non sono mai del tutto nate. Per esempio le donne tendono, maggiormente rispetto agli uomini, ad essere definite ipoaggressive oppure iperaggressive, passivo-aggressive. L’isteria è da sempre stata considerata tipicamente femminile. Marina Valcarenghi parla di deficit aggressivo, nato da un processo culturale (consiglio a questo proposito la lettura del libro “L’aggressività femminile” di Marina Valcarenghi).
Noi donne siamo "fatte in un certo modo" per natura o cultura? Il confine si perde ma ahimè, quanto la cultura a lungo andare finisce per diventare natura? Non ce ne si accorge, ma se poi ci si ritrova periodicamente stressate o esaurite, proprio tutta natura non è. Forse i ritmi non sono i nostri (e forse questi ritmi non sono più così umani, non solo per le donne, anche se la questione femminile è stata a lungo tempo trascurata).
Alle donne si chiede tanto e tanto altro è stato negato. Quanti ruoli assume una donna nella vita? Quante cose fa? Quanti doveri? Quanto è stata abituata a farsi carico? Il fatto è che questo “tanto” passa a volte come routine, ci si adatta e lo si porta avanti. Mentre altri aspetti non hanno nome o riconoscimento.
L’ ”alfabeto femminile” (inteso come linguaggio femminile: nel modo di osservare, sentire, vivere e concepire le esperienze, affrontarle) è molto meno conosciuto di quello maschile, ma molto meno conosciuto dalle donne stesse, per motivi spesso culturali. E' difficile riconoscere qualcosa di cui si è state private a lungo, racconta Marina Valcarenghi. Intercettare quel linguaggio è una ricerca che si perde oltre i confini di più epoche e oltre le strutture erette nel corpo per adattarsi a questo mondo.
Molto è stato chiesto alle donne dai tempi dei tempi; condizioni che poco per volta sono diventate qualcosa di “naturale” e non solo "sociale" (se fosse davvero così naturale non ci sarebbero certi effetti collaterali). Se una donna pretende troppo, questo potrebbe essere un sintomo, un effetto collaterale di aspetti che le sono stati negati e di parti di lei che non hanno mai avuto possibilità di esprimersi.
Pretendiamo quando siamo stati privati di qualcosa: di un ascolto, di un diritto, di un riconoscimento, o quando ci sono state addossate responsabilità o doveri non nostri. Pretendiamo quando alcuni diritti sono stati lesi in partenza e diventa difficile guadagnarsi ciò di cui si avrebbe bisogno.
Se c'è privazione fin dall’inizio, può accadere che nemmeno se ne abbia consapevolezza, perché essere privati di qualcosa significa essere privati anche della possibilità di riconoscerlo. Ci si può sentire frustrati, repressi e magari non si comprende fino in fondo il perché.
Una volta frustrati e con una certa incapacità ad esprimere determinati diritti e modi di essere propri, ci si può ritrovare a mettere in atto comportamenti ipo-aggressivi o iper-aggressivi: non riuscire a farsi valere, auto-escludersi, lamentarsi sentendosi impotenti oppure pretendere, reagire impulsivamente, preoccuparsi eccessivamente.
Lì per lì si crede di esser “fatte così” (come dire: è la propria natura). Siamo sicuri che questa sia natura? In realtà può essere, al contrario, un sintomo della perdita di legame con la propria vera natura, l’effetto collaterale di una privazione. Una volta perso quel legame di significato (il “motivo” profondo per cui ci si sente ipo o iper-aggressive), l’esperienza si ripete, fino a quando non si recupera la consapevolezza e ciò che sta alla radice, che consente di affrontare il circolo vizioso e riportare a sé l’ascolto e il riconoscimento dei propri diritti.
Quando ci sentiamo liberi di esprimerci per ciò che siamo, non sentiamo il bisogno di alterarci e nemmeno di restare silenti. Ma possiamo esprimerci se sappiamo chi siamo e se siamo in contatto con i nostri bisogni e il nostro linguaggio.
La questione femminile e ciò che è accaduto al “femminile” è molto delicata e riguarda tutti, donne e uomini.






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