E' importante non confondere le emozioni del dolore, tristezza, disperazione, sofferenza, con le credenze negative che ci si crea.
La CREDENZA NEGATIVA ha l'effetto di invischiare ancora di più in un circolo vizioso dal quale è difficile uscirne, finchè gli si dà spazio. Esempi di credenze negative sono:
“non sono abbastanza..”
“ecco, a me va sempre così..”
“non ce la farò mai”
“non sono meritevole”
“non è il mio destino”
..e via dicendo.
Queste credenze generalizzano ciò che ci capita nella vita e lo incasellano sotto una campana, aumentando l'attenzione selettiva che diamo a varie esperienze. Poniamo così maggiore attenzione a certi dettagli “negativi” invece che ad altri. Osserviamo e viviamo le esperienze con una sorta di filtro, che riflette queste credenze e tende a consolidarle, a renderle “vere”. Questo crea in parte la “nostra” realtà.
Ciò che ci capita acquisisce così un valore maggiore o minore in base al peso che diamo a queste credenze e a quanto vi crediamo.
Le credenze negative sono condizionamenti che ci schiavizzano ad una realtà che non cambia, in un certo senso. Ci tengono come fissati in un “pantano”.
Finchè si sta nel pantano e lo si continua ad osservare, non si fa che sprofondarci dentro. Questo aumenta la sofferenza e non significa accettare la realtà, ma rassegnarsi ad una realtà che noi stessi ci siamo in parte costruiti e dalla quale non ci liberiamo. Le credenze negative sono infatti delle “distorsioni cognitive”.
Stare nel dolore non significa farsi risucchiare da questo pantano; significa, al contrario, lasciar salire l'emozione dal nostro profondo.
Non è dicendoci frasi auto-svalutanti che impariamo a stare nel dolore; così impariamo solo a legarci ulteriormente.
Stare nel dolore significa stare nell'emozione che abbiamo dentro. In quell'emozione che emerge lasciando respirare il ventre: tristezza, malinconia, disperazione, sconforto, sofferenza, ciò che c'è, puro e semplice.
E' uno SCENDERE DALLA MENTE (che partorisce la credenza) AL CORPO (che partorisce l'emozione).
Le credenze ci difendono dal dolore, ma nel farlo lo aumentano, perchè mantengono paradossalmente l'attaccamento a questo dolore, in quanto costituiscono una sorta di “maledizione”, che detta le regole del nostro destino (per esempio: “sono impotente, non posso farci niente, andrà sempre così”). Dietro una credenza negativa consolidata c'è una non accettazione della sofferenza come parte della realtà umana e una perdita di fiducia nella vita. Così la sofferenza non accolta, non si può vivere e né lasciarla andare.
Accettare le emozioni dolorose significa ACCETTARE LA VITA e la sofferenza inevitabile che comporta. Ciò che ci blocca maggiormente sono i limiti che noi mettiamo a questa sofferenza, che allora ci accompagnerà chiedendo e richiedendo di essere ascoltata.
Il DOLORE può essere un'emozione congelata che ha bisogno di sciogliersi nel PIANTO. Il pianto consente di liberare la tensione, in particolar modo la tensione addominale, liberando così la sofferenza che vi risiede. Liberandoci da queste restrizioni interne, riprendiamo maggiore contatto con noi stessi. Più siamo morbidi (fisicamente e psichicamente) e più siamo in contatto con noi.
Stare nel dolore consente di liberarlo, quanto possibile, e inoltre trasformarlo: in ispirazione, creatività.
Ogni emozione è caratterizzata da ENERGIA e perciò MOVIMENTO. Questa energia è una fonte a cui possiamo accedere nel momento in cui la liberiamo e lasciamo che emerga e fluisca. L'emozione CREA.
Quante volte temiamo determinate emozioni, temiamo che siano troppo prorompenti, che ci travolgano. Ma meno reprimiamo le emozioni, meno queste saranno travolgenti e più fluiranno naturalmente conducendoci laddove ne abbiamo bisogno.
Non esistono emozioni sbagliate, finchè non crediamo che lo siano. Allora si che facciamo un danno a noi stessi, vincolandole e determinandone così la violenza. L'eccesso di controllo fa in modo, una volta tolto l'argine, che l'emozione (allora incattivita) esca fuori controllo.
Scendere dalla CREDENZA al CORPO porta a stare in contatto e in comunicazione con quello che c'è in noi e ad aumentarne la nostra tolleranza e la nostra capacità di contenimento.
Non è controllo, è autoregolazione.
Ognuno ne è capace, anche se non è affatto scontato e a volte è necessario ri-apprendere ad ascoltarsi, de-condizionarsi dalle credenze che costituiscono uno schermo, una difesa dalla realtà di sé stessi.
Le credenze invalidanti negano delle parti di noi, mentre le emozioni accolte ci portano a credere in noi stessi.
COME FARE QUANDO L'EMOZIONE E' FORTE?
Un modo per calmare il livello di attivazione corporea dato dalle emozioni forti è quello di stare nella “presenza” di queste emozioni, ossia affinare l'ascolto di sé, sentire l'effetto che fanno nel corpo (sensazioni, sintomi), osservarle e comprendere che noi non siamo le nostre emozioni, ma le nostre emozioni parlano di una parte di noi, che ci sta comunicando qualcosa e che preme per farsi sentire; ascoltiamola e potremo calmarla e darle sollievo. Immaginiamola come una parte da consolare e tranquillizzare; possiamo darle un'età nel momento in cui riconosciamo noi stessi in quella parte, magari da bambini o ragazzini. E allora in quel momento noi siamo l'adulto che dà conforto a quel bambino, portatore di quella forte emozione. Questo ci permette di non farci immobilizzare dall'emozione, ma ascoltandola, possiamo invece evolverci e camminare avanti, mano nella mano con quella parte spaventata che ora ha trovato ascolto.

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