CALATI GIUNCU CA PASSA LA CHINA

Calati giunco, che arriva la piena.

Una frase presa in prestito dalla mafia e, da questa, modificata parzialmente nel significato: “l’abbassarsi come un giunco finché non passa la piena dell’avverso destino diventa uno strategico acquattarsi, fidando nello scorrere del tempo e nell’intorbidarsi della memoria” (Amelia Crisantino, Il volto ripulito della mafia).

Al di là di ciò che è stato fatto di questa frase, il suo significato originario parla di resilienza, una capacità preziosa e fondamentale.
La resilienza è l'attitudine ad affrontare gli eventi avversi o traumatici, le difficoltà. Si tratta della capacità di “digerire, metabolizzare”, ossia accettare, elaborare, lasciar scorrere. Dall'accettazione di una situazione per ciò che è, possiamo mobilitare l'energia per tirarcene fuori e superarla.
La resilienza ha a che fare con l'adattamento ai cambiamenti.
A questo proposito, osservando il giunco possiamo comprendere meglio di cosa si tratta.

Il giunco è una pianta acquatica, dall'aspetto esile e il portamento aggraziato; è ben radicato a terra e, allo stesso tempo, flessibile e flessuoso. Ama crescere parzialmente sommerso dagli specchi d'acqua. E' una forza della natura: cresce e si sviluppa in acque sia limpide che torbide, nei luoghi umidi un po' di tutto il mondo. Resiste alle basse temperature. E' relativamente resistente ai parassiti e alle malattie.

Nel taoismo, il giunco è utilizzato come metafora della saggezza insita in un comportamento flessibile, che accetta anziché contrastare, poiché opponendo resistenza alla forza potente della piena, “ci” si potrebbe spezzare. Mentre invece, il fatto di far fronte alle difficoltà lasciandosi da queste attraversare, viverle senza farsi travolgere, porta a trarne insegnamento e mobilita le proprie risorse.

La resilienza è una capacità che può essere sviluppata e allenata.
Una buona resilienza si sviluppa lasciando andare le convinzioni autolimitanti e ridondanti che ci ostacolano e che contaminano gli eventi avversi che ci accadono.
Le convinzioni e i comportamenti autolimitanti possono essere molteplici: dal vittimismo, all'impotenza appresa, all'eccessivo senso di colpa per qualcosa verso il quale in realtà non si ha né colpa e né controllo, agli (auto)giudizi, alla mancanza di fiducia, a generalizzazioni che appiccichiamo agli altri o al mondo, ai pensieri catastrofici, ecc. 
Più si dà potere a queste convinzioni e più queste ci ingabbiano, provocando ulteriore sconforto oltre all'evento avverso stesso e rendendo più difficoltosa l'accettazione e il rimettersi in piedi, sulle proprie gambe.
Trascendere questi ostacoli mentali significa lasciarci andare realmente a ciò che sentiamo, con una maggiore flessibilità mentale.
Allo stesso tempo è importante tener conto dei limiti personali ai quali non avrebbe senso opporci.
Un atteggiamento di questo tipo dona una “visuale” più pulita e limpida di ciò che accade; meno proiezioni, meno “fantasmi” e più esperienza autentica, per ciò che è. Possiamo osservare meglio differenti aspetti e comprenderne il senso.  
Si espande così la nostra finestra di tolleranza e aumenta la capacità di “vedere”.
Da qui, sarà possibile notare le prospettive che si aprono intorno a noi.
Mobilitandoci meno e provando semplicemente a “stare” in ciò che accade, passiamo dall'essere reattivi al reagire realmente, quando è tempo.
L'esperienza del dolore, quando si accetta, insegna ad aprire le porte alla gratitudine verso ciò che è possibile, promuovendo una rinnovata fiducia nella vita. 
Tutto ciò è resilienza.

Commenti