Per contatto empatico si intende:
contatto fisico, psichico e mentale, sintonizzazione emotiva,
capacità di riconoscere le proprie emozioni e comprendere così
quelle altrui, capacità di accogliere se stessi per ciò che si è (tollerarsi) e di mettersi nei panni dell'altro (empatia); contatto significa, inoltre, lasciare libero l'accesso al proprio sentire, comprendere cosa si
prova nelle diverse situazioni; comprende, inoltre, la capacità di relazionarsi con gli
altri e di condividere.
Il contatto, inteso in questo modo, sta
alla base del vissuto di vicinanza con l'altro e del
riconoscimento di sé.
Poter dare un nome alle emozioni che si
provano permette di dare loro un territorio e quindi dei confini,
stando con i piedi per terra, ossia in contatto con la realtà propria e
altrui.
Si tratta dell'alfabetizzazione emotiva, la capacità di sentire e verbalizzare ciò che si prova.
Verbalizzare dipende
non solo dalla capacità mentale di comprendere l'emozione legata ad una situazione, ma
soprattutto dal fare
esperienza di quella emozione, attraverso il corpo e il suo sentire.
Un'esperienza emotiva integrata necessita sia del corpo che della mente. Si chiama appunto “esperienza”, in grado di muovere alla comprensione e al cambiamento.
Un'esperienza emotiva integrata necessita sia del corpo che della mente. Si chiama appunto “esperienza”, in grado di muovere alla comprensione e al cambiamento.
Il contatto e la sintonizzazione
empatica con se stessi si riflette nella capacità di comprendere
l'altro. Dove c'è comprensione c'è vicinanza, comunanza e non
occorre alzare i toni.
La violenza cresce e si nutre del senso
di mancanza (mancanza di amore, mancanza di confini, mancanza di comprensione, mancanza di dialogo,...). Più si vive la mancanza e più i propri bisogni diventano
tiranni e pretendono dall'altro un “risarcimento”.
Dove c'è violenza, non c'è contatto empatico; è un terreno freddo e arido, dove i confini sono argini instabili e ci si sente distanti dall'altro, oltre che distanti da sé. In questo luogo, i gesti possono essere dissociati dalle emozioni; la loro valenza può essere minimizzata o amplificata, sradicata dalla sua concreta realtà.
Dove c'è violenza, non c'è contatto empatico; è un terreno freddo e arido, dove i confini sono argini instabili e ci si sente distanti dall'altro, oltre che distanti da sé. In questo luogo, i gesti possono essere dissociati dalle emozioni; la loro valenza può essere minimizzata o amplificata, sradicata dalla sua concreta realtà.
La distanza dall'altro non consente di
comprendere il livello di sofferenza che può provocare un gesto
violento.
Si è dominati dall'emozione, ma non la si accoglie; la si evacua aggressivamente. Prevale il bisogno di controllo o potere. Nel gesto violento non si vede l'altro nella sua complessità, ma nemmeno ci si accorge di sé.
I confini sono infranti.
Si è dominati dall'emozione, ma non la si accoglie; la si evacua aggressivamente. Prevale il bisogno di controllo o potere. Nel gesto violento non si vede l'altro nella sua complessità, ma nemmeno ci si accorge di sé.
I confini sono infranti.
Il contatto consente invece di
“abitare” nel proprio territorio e “nutrirlo”, tollerando la propria realtà e quella dell'altro. E'
questo un terreno fertile, dove c'è spazio per sentire, stare in
ascolto, rispettare i confini propri e altrui, crescere.
Il contatto empatico alimenta la presa
di coscienza, il senso di realtà ed è il più potente antidoto ad
ogni forma di violenza; perciò è fondamentale
coltivarlo sin dall'infanzia.
Contattare emotivamente se stessi e gli altri può essere tutt'altro che semplice, a seconda delle esperienze di vita di ognuno; diventa allora prezioso un percorso di "riconoscimento" di sé, che va a costruire e consolidare questa capacità nel tempo. Una capacità, questa, che rende liberi; liberi dagli impulsi violenti generati della sofferenza, liberi dalle intolleranze e dall'odio. Liberi inoltre di amarsi e amare.
In una società sempre più alienata dal corpo e dal sentire, cresce il bisogno e l'urgenza di ritrovare questo contatto genuino, che muove alla vita.
Contattare emotivamente se stessi e gli altri può essere tutt'altro che semplice, a seconda delle esperienze di vita di ognuno; diventa allora prezioso un percorso di "riconoscimento" di sé, che va a costruire e consolidare questa capacità nel tempo. Una capacità, questa, che rende liberi; liberi dagli impulsi violenti generati della sofferenza, liberi dalle intolleranze e dall'odio. Liberi inoltre di amarsi e amare.
In una società sempre più alienata dal corpo e dal sentire, cresce il bisogno e l'urgenza di ritrovare questo contatto genuino, che muove alla vita.
Credo che l'educazione al contatto
empatico sia fondamentale per il benessere della società intera e costituisca il più
potente vaccino per arginare fenomeni di violenza e prevaricazione.
La comprensione di questo contatto non
passa solo attraverso spiegazioni teoriche, ma va interiorizzata facendone esperienza: fare esperienze concrete di contatto empatico, esplorazione di sé e degli altri, vicinanza, confine, scambio, confronto..conoscenza. Ciò che si conosce non si teme, ciò che non si teme lo si può accogliere; e riconoscere.
Quando nasciamo, siamo naturalmente in
grado di avvicinarci all'altro, naturalmente in grado di ricevere e
dare affetto. C'è moltissimo da apprendere dai bambini, soprattutto
quando sono molto piccoli; liberi.
Dove c'è contatto empatico, c'è
calore che scalda, scioglie le rigidità, lenisce le sofferenze e libera la gioia. In questo territorio la
violenza non ha modo di esistere. Prevale la voglia di vivere qualcosa di ben più prezioso.
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