La rabbia inespressa matura dentro e, il più delle volte, prende altre forme manifestandosi in maniera più o meno coartata, subdola oppure eccessiva; ne possiamo trovare traccia nella rimuginazione, nella somatizzazione, nel vivere un senso d'ingiustizia su di sé sentendosi vittime, nel rancore, nel bisogno di vendetta, nell'invidia, nel percepire il mondo come “cattivo” (proiezione), nel sentirsi bloccati e rigidi a livello sia muscolare che psichico.
Rabbia bloccata significa espressività bloccata ed affermazione di sé bloccata, in maniera più o meno rilevante.
Inoltre, quando non si accoglie questa emozione, non si permette nemmeno all'altro di manifestarla; è inevitabile. Non possiamo sostenere nell'altro ciò che non sosteniamo in noi stessi.
Le emozioni di noi che non accettiamo sfuggono al nostro controllo, o meglio, ne perdiamo la padronanza.
Generalmente, le conseguenze di una rabbia inespressa sono più “amare” rispetto ad una rabbia accolta e con la quale siamo in contatto. Ciò che reprimiamo non sparisce; dicendoci che “dobbiamo essere buoni e che non dobbiamo sollevare problemi” non risolviamo le questioni.
Facciamo l'esempio di una rabbia “covata” nel tempo fino a desiderare il male dell'altro, fino a sentire il bisogno di vendetta. Quel tipo di rabbia parte da un diritto, a suo tempo inespresso, che preme per essere rivendicato. La rabbia può diventare così esplosiva.
Esprimendo questa rabbia in maniera esplosiva non ci sentiremo liberati, ma al contrario la coltiveremo e la alimenteremo, sia in noi che nell'altro. Ne saremo dominati e in questo caso diventa dannosa.
La rabbia che ha l'intenzionalità di provocare il dolore nell'altro, allo stesso modo colpisce noi stessi, ci logora.
Perciò, prima di arrivare a quel momento, possiamo accorgerci che ogni emozione che affiora ci fa comprendere qualcosa e porta con sé un significato. Prima riconosceremo l'emozione e prima potremo accoglierla ed esprimerla senza che questa prenda il sopravvento.
E' prezioso accorgerci di ciò che sentiamo, senza giudicarlo e senza temerlo. Non esistono emozioni giuste o sbagliate.
Quando c'è contatto con le nostre emozioni, c'è padronanza. In questo caso l'emozione si può esprimere, può “arrivare all'altro” ed essere gestita; ciò che non si teme, difficilmente prenderà il sopravvento.
Proprio sentendo il nostro diritto di esprimerci, affermarci ed essere rispettati, non saremo dominati dalla rabbia ma saremo noi a padroneggiarla, perché siamo in contatto con la nostra forza e il nostro valore profondi. E questo è ciò che conta: sentire il nostro valore e il nostro diritto; perciò non è più necessario imporli all'altro, perché già lo sappiamo, dentro di noi, di essere “meritevoli”.
In questa condizione saremo abbastanza “forti” da lasciare andare l'altro nel momento in cui sentiamo di non essere compresi; saremo abbastanza forti da tollerare che l'altro possa mantenere la sua visione senza che questo possa destabilizzarci; saremo abbastanza forti, soprattutto, nello scegliere ciò che ci fa davvero stare bene.
Rabbia bloccata significa espressività bloccata ed affermazione di sé bloccata, in maniera più o meno rilevante.
Inoltre, quando non si accoglie questa emozione, non si permette nemmeno all'altro di manifestarla; è inevitabile. Non possiamo sostenere nell'altro ciò che non sosteniamo in noi stessi.
Le emozioni di noi che non accettiamo sfuggono al nostro controllo, o meglio, ne perdiamo la padronanza.
Generalmente, le conseguenze di una rabbia inespressa sono più “amare” rispetto ad una rabbia accolta e con la quale siamo in contatto. Ciò che reprimiamo non sparisce; dicendoci che “dobbiamo essere buoni e che non dobbiamo sollevare problemi” non risolviamo le questioni.
Facciamo l'esempio di una rabbia “covata” nel tempo fino a desiderare il male dell'altro, fino a sentire il bisogno di vendetta. Quel tipo di rabbia parte da un diritto, a suo tempo inespresso, che preme per essere rivendicato. La rabbia può diventare così esplosiva.
Esprimendo questa rabbia in maniera esplosiva non ci sentiremo liberati, ma al contrario la coltiveremo e la alimenteremo, sia in noi che nell'altro. Ne saremo dominati e in questo caso diventa dannosa.
La rabbia che ha l'intenzionalità di provocare il dolore nell'altro, allo stesso modo colpisce noi stessi, ci logora.
Perciò, prima di arrivare a quel momento, possiamo accorgerci che ogni emozione che affiora ci fa comprendere qualcosa e porta con sé un significato. Prima riconosceremo l'emozione e prima potremo accoglierla ed esprimerla senza che questa prenda il sopravvento.
E' prezioso accorgerci di ciò che sentiamo, senza giudicarlo e senza temerlo. Non esistono emozioni giuste o sbagliate.
Quando c'è contatto con le nostre emozioni, c'è padronanza. In questo caso l'emozione si può esprimere, può “arrivare all'altro” ed essere gestita; ciò che non si teme, difficilmente prenderà il sopravvento.
Proprio sentendo il nostro diritto di esprimerci, affermarci ed essere rispettati, non saremo dominati dalla rabbia ma saremo noi a padroneggiarla, perché siamo in contatto con la nostra forza e il nostro valore profondi. E questo è ciò che conta: sentire il nostro valore e il nostro diritto; perciò non è più necessario imporli all'altro, perché già lo sappiamo, dentro di noi, di essere “meritevoli”.
In questa condizione saremo abbastanza “forti” da lasciare andare l'altro nel momento in cui sentiamo di non essere compresi; saremo abbastanza forti da tollerare che l'altro possa mantenere la sua visione senza che questo possa destabilizzarci; saremo abbastanza forti, soprattutto, nello scegliere ciò che ci fa davvero stare bene.
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