Cosa ci fa incappare nei medesimi problemi e cosa fa evolvere una relazione.


Ognuno vede e vive la propria realtà. I nostri occhi non sono solo osservatori, ma anche proiettori che creano       una realtà. I nostri schemi mentali alimentano dei copioni che si vanno a riproporre nelle nostre esperienze di    vita ogni qual volta siamo alle prese con qualcosa che riporta a galla un conflitto irrisolto.                                       E allora incappiamo nuovamente in una situazione che sentiamo tristemente famigliare.                                              Può accadere perciò di rivivere problematiche simili con persone diverse; ci andiamo così a chiedere 
"Perchè continuo a finire in queste situazioni? A incontrare persone così?                                              Credevo che questa volta fosse diverso! Ecc.”  
Forse, al di là della situazione esterna e di come ha agito l'altro, il fatto che una situazione si ripresenti                     più e più volte può dipendere dal nostro modo di vedere e agire che continua ad essere lo stesso.

Quanto vedo l'altro per ciò che è, al di là delle mie credenze su di lui?
Quanto invece l'altro è uno schermo sul quale io proietto i miei conflitti irrisolti?
L'altro mi dà modo di riportare a galla paure, timori, problemi, in una parola: i miei conflitti personali.
Il fatto che l'esterno mi riproponga determinate situazioni che si ripetono come in un copione, è un indicatore del fatto che il teatro nel quale va in scena il mio conflitto è il mondo esterno, perciò il mio conflitto continua               a non essere elaborato/affrontato/accettato internamente.
Ciò che continua a ripresentarsi fuori, non è stato ancora affrontato dentro.                                             Perciò la realtà continua a mettermi di fronte a ciò che ancora devo risolvere.

Cosa accade nella relazione con l'altro in questi casi?
All'interno di questo tipo di rapporto, i miei occhi tenderanno a proiettare la visione di una realtà                              che io già conosco, che magari temo e che attraverso l'altro rimetto in scena. 
La mia mente avrà un'attenzione selettiva verso determinati gesti dell'altro, che andrò ad interpretare in base alle mie convinzioni e aspettative. E più queste sono rigide, più non ci sarà scampo dalla realtà in cui credo.                  La dinamica sarà così innescata e la mia visione della realtà ancora più consolidata.
Più la relazione viene investita di convinzioni e proiezioni personali, più diventa difficoltoso           vedersi l'un l'altro per ciò che si è realmente. 
Forti conflitti irrisolti offuscano la verità della relazione, che sarà contaminata in varia misura                                    dalle proiezioni reciproche l'uno dell'altro.
Inoltre: se il mio conflitto irrisolto è una ferita ancora viva e aperta (può essere conflitto con la madre, con il          padre, ecc.),  tenderò a incontrare persone con conflitti complementari ai miei: ci si sintonizza,           nelle gioie e nei dolori. 
Tenderò così ad assumere il ruolo che già conosco, con tutto il dolore che ne comporta. 
Potrei fare l'esempio di una donna che ha avuto un padre alcolista e violento, che da adulta incontra un uomo        simile e attualizza lo stesso atteggiamento sottomesso che era costretta ad avere da bambina per evitare le botte    (il nostro atteggiamento ci porta ad andare incontro a persone con determinate caratteristiche);                                oppure potrebbe essere il caso di un uomo che da bambino si era trovato a fare le veci del genitore ad una madre depressa e che da adulto tenderà ad incontrare donne simili, bisognose, che lo riporteranno al ruolo di genitore    accudente; o ancora potrebbe essere il caso di una persona cresciuta con un genitore screditante che ha demolito  la sua autostima, portandola da adulta ad avere poca fiducia in se stessa e ad incontrare persone che le rimande-   ranno il suo senso di fallimento personale.
Nel momento in cui non c'è evoluzione riguardo al proprio conflitto, sarà facile continuare ad incappare nei           medesimi problemi. E' più difficile aprirsi al nuovo quando ancora si naviga nel vecchio.                         Il passato continua così a rivivere nel presente e non ci si concede di lasciarsi andare oltre a ciò che ci si aspetta.
La vita non accade a te, la vita accade per te” Jim Carrey
Possiamo reagire alla ripetizione del copione, ossia all'ennesima volta che incappiamo nel medesimo problema,    in due modi differenti: 
- un modo è quello di viverlo come una condanna, dalla quale non c'è via d'uscita.                                                             In questo caso le nostre convinzioni si irrigidiscono sempre di più e le frasi che ci rivolgiamo potrebbero essere 
capitano sempre a me...mi sento impotente, tanto finisce sempre così...per quanto mi sforzi, alla fine gli altri      sono fatti in quel modo..e non c'è niente che io possa fare” e via dicendo. 
A livello emotivo, potremmo sentirci "accecati" da emozioni quali: paura, rabbia, impotenza, disperazione, ecc. A livello mentale, potrebbero consolidarsi modalità interpretative, tra le quali distorsioni cognitive                      (ossia pensieri automatici disfunzionali) come: la generalizzazione (fare di tutta l'erba un fascio: "sono tutti fatti   così"), la catastrofizzazione (pensiamo che un evento avrà per noi conseguenze più importanti di quelle reali in   maniera negativa senza considerare altri possibili esiti o sviluppi: lasciamo per esempio che l'ansia ingigantisca    piccoli problemi o mancanze), il filtro mentale (filtriamo mentalmente la realtà quando prestiamo attenzione solo ad un dettaglio trascurando di considerare l’intero quadro).
Nel complesso, le nostre decisioni si vanno a basare su paure e convinzioni che certe cose accadano nuovamente. Come potrebbe essere altrimenti?

- un altro modo di vivere un copione che si ripete è quello di rivolgere a noi l'attenzione, partendo dalla domanda: “Perchè mi è di nuovo successo? Cosa significa?
 Il conflitto che incontro oggi ci fa rivivere quello di ieri e può essere accolto come un segnale          che ci indica la direzione di ciò che ancora è da affrontare. 
Il conflitto di oggi ci parla di esperienze passate che non abbiamo ancora accettato. Ci indica quale dolore non è     stato ancora elaborato.  
Possiamo accostarci allora a quel dolore in maniera differente, ascoltandolo e accogliendolo,        ammettendo che certe esperienze passate, tristi e indelebili, sono successe per davvero, e che noi non potevamo farci niente, non dipendevano da noi così come non potevamo cambiarle. 
Non possiamo tornare indietro nel tempo per cancellare il passato, per cambiarlo.                                                          Soprattutto, non possiamo risolverlo nel presente. Non è realmente possibile; se alberga in noi questo tipo di         illusione, è necessario staccarcene per poterci evolvere, altrimenti ricadremo in quel ruolo che già conosciamo.     Non possiamo trovare oggi ciò che ci era esattamente mancato allora, da bambini. Perché i bisogni del bambino   sono differenti da quelli di un adulto ed un adulto non potrà soddisfarli ad un altro adulto. 
E' necessario accettare il passato e accogliere tutto il dolore che avevamo provato, per poter andare avanti e            incontrare qualcosa di diverso dal nostro ieri. 
Accettando questo passato irrisolto come tale, possiamo liberarci dalla pretesa di risolverlo nel presente.
Accettare l'irrisolto di ieri e il dolore che ne comporta, ci porta a risolvere i problemi di oggi. 
Allora potremo agire non più in base a ciò che ci è mancato ieri, ma in base a chi siamo oggi al di là di quello. 
Proviamo a fare spazio dentro di noi per avvicinarci a quel dolore che ci ricorda di avere ancora bisogno di essere accolto. Proviamo a starci in contatto, ad accarezzarlo, portando respiro nella nostra pancia. Sarà lei a guidarci,      a permetterci di liberare quel pianto ristoratore che è ancora compresso dentro.
Non perdiamo tempo a prendercela col mondo; utilizziamo quel tempo per rivolgerci a noi e respirare,                    dandoci tutto l'ossigeno di cui abbiamo bisogno. 
Così come l'animale si lecca le ferite, in questo modo noi possiamo prenderci cura del nostro bisogno.                     La direzione in questi momenti non è andare verso fuori, ma tornare dentro di noi. 
E ' perciò necessario ASCOLTARE IL CORPO E LE EMOZIONI che stiamo vivendo – RESPIRARLI - SENTIRLI - ESPRIMERE queste emozioni a noi stessi, nella nostra intimità; ciò può significare lasciarsi andare al pianto, alla rabbia, alla delusione, viverli nella loro portata – per poterli così ELABORARE, e lasciar andare. 
Questo ci consente di andare avanti: oltre.
La nostra essenza è oltre le nostre convinzioni, oltre i nostri bisogni insoddisfatti. Ma è proprio ascoltandoli,          invece che chiedendo all'altro di risolverli, che possiamo procedere ed evolvere.
Non esistono scorciatoie se vogliamo raggiungere l'altro in maniera autentica, esistono però sfide che possiamo   decidere di affrontare e che fanno della nostra vita un viaggio che ci porta ad un contatto sempre più vicino ed         empatico con noi stessi. 
E' a partire da questo contatto che tutto può cambiare.
Le nostre decisioni possono essere prese non più in base alla paura o alle convinzioni del passato, ma in base        all'amore che proviamo per noi nel momento presente. Provare amore per noi ci consente di credere in noi.          Diamoci la libertà di essere!
Il tuo bisogno di essere accettato può renderti invisibile in questo mondo” Jim Carrey

Il nostro bisogno merita ascolto: da parte di noi stessi.

Piccolo esercizio: proviamo a osservare quotidianamente quali sono le emozioni che, solitamente, muovono le nostre azioni.
Le nostre scelte e i nostri gesti sono mossi dalla paura? Dalla rabbia? Dal bisogno di una ricompensa?                    Dall'invidia? Dal desiderio? Dall'amore? Dalla tenerezza? Dal piacere? ...
Prendiamo in questo modo maggiore coscienza di quali emozioni direzionano maggiormente le nostre scelte.
Introduciamo quindi dei piccoli cambiamenti: in ogni momento possiamo scegliere di agire                                         per amore/gioia/piacere. 
Proviamo dunque a compiere scelte o gesti, anche piccoli, con amore-gioia-piacere.                                                       Soprattutto, aumentiamo i piccoli gesti d'amore nel nostro quotidiano.
Diamo modo a questi gesti di agire.
Occhio agli autosabotaggi: compiere un gesto per amore/con amore significa che l'amore è l'emozione prevalente nel momento in cui stiamo compiendo l'azione, anziché essere un'emozione fittizia che copre un secondo fine o      un'altra emozione di tutt'altro genere; l'amore è l'emozione originale che accompagna il gesto.
Può trattarsi di un compito difficile e sicuramente non è matematico, ma possiamo lasciarci andare in ogni            momento all'idea di sostituire alle emozioni disarmanti (ansia, paura, collera), che accompagnano talune nostre   scelte, con emozioni ristoratrici. 
Provare per credere, in noi. 



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