Da schiavi del tempo ad artefici del proprio tempo


La “fame” di tempo è assai frequente in quest’epoca. Il tempo, per molti di noi, sembra non bastare mai.
Alcune semplici domande ci possono far riflettere sulla questione:
ho l'aspettativa di "dover star dietro a tutto" e tendo a farmi carico di responsabilità che potrei demandare e distribuire anche ad altre persone?
Sono soddisfatta/o (di me) per ciò che faccio? Oppure credo che per esserlo dovrei raggiungere traguardi che non ho ancora raggiunto?
Se si, quanto sono lontani questi traguardi?
- Quanto è importante per me ottenere un risultato buono, fino a eccellente?
Quando metto il confine tra gli impegni presi e il tempo per me? A che punto mi prendo il tempo per fermarmi, riposarmi, staccare la spina?

Il “posto” dal quale ci muoviamo può fare la differenza. 
Ossia, quanto ci muoviamo a partire dai nostri bisogni interni e quanto a partire da richieste e aspettative esterne?
La capacità di mediazione e integrazione tra queste diverse istanze ci fa comprendere quanto siamo in contatto con le nostre reali priorità e determina la qualità della gestione del nostro tempo.
Più ci preoccupiamo di non aver “ancora” raggiunto ciò che desideravamo e di non riuscire a stare dietro a impegni e scadenze, più sarà facile trovarci in balia del tempo invece che esserne padroni.
Il tempo risulta tiranno, inoltre, quando sono presenti un forte senso del dovere, alte aspettative e perfezionismo. Più questi sono preponderanti, meno risulta soddisfacente il nostro presente, meno ci bastiamo per ciò che siamo; allora abbiamo bisogno di raggiungere ulteriori mete per sentirci soddisfatti o impieghiamo un'eccessiva quantità di tempo per raggiungere risultati "migliori". Questo atteggiamento, invece che esserci di aiuto, può costituire un ostacolo alla mobilitazione delle nostre risorse. 
Il livello di preoccupazioni e aspettative future circa il nostro operato va a impattare sulla quantità di tempo impiegato.
E proprio il timore di perdere tempo ci porta a perderne in misura maggiore.


E' importante chiederci se il luogo dal quale ci stiamo muovendo sia al di “fuori” da noi, ovvero, quanto le nostre scelte siano condizionate dalle aspettative esterne e dai giudizi che ci diamo. I condizionamenti esterni allontanano dal contatto con i nostri reali bisogni. Ci si può così ritrovare a rincorrere impegni, scadenze e obiettivi, che non bastano mai; e, come si sa, ad oggi le incombenze non mancano!
Più ci focalizziamo sulle aspettative esterne e sul dover sopperire sempre e comunque i nostri “doveri” in maniera esaustiva, più è prevedibile che saremo di corsa e che il tempo non basti. Questo atteggiamento alimenta ansia, preoccupazioni e mancanza di concentrazione. Inoltre, limita la vita del nostro presente. 
Quando ci si muove da questo “luogo”, tendiamo maggiormente a focalizzarci su ciò in cui siamo mancanti. 
Ma partire dal senso di mancanza non ci predispone all’abbondanza, bensì favorisce insoddisfazione, impotenza e dipendenza dall'esterno.
Per cui, partire dal senso di mancanza di tempo non ci predispone a prenderci il tempo di cui avremmo bisogno. Perchè potremmo non averne mai abbastanza.

Muovendoci invece da un luogo interno a noi, possiamo riconoscere e sentire la nostra energia, le risorse alle quali accedere: la nostra abbondanza; da qui, sarà più semplice individuare le vere priorità, quelle di cui abbiamo realmente bisogno. 
Per farlo è necessario fermarci, “posare la mente”, ritrovare la nostra centratura e prendere momentaneamente le distanze dai richiami esterni; accogliere il nutrimento che arriva dal piacere del riposo, per rigenerarci e affrontare il tutto in maniera più lucida e proficua.

Fermarsi consente di accettare la nostra umanità, intesa come naturale imperfezione e limite reale che caratterizza la nostra unicità; l'accettazione porta a ridimensionare e a focalizzare le proprie scelte, per andare verso quelle più costruttive e concrete.
L'accordo tra bisogni interni e scelte esterne promuove la volontà e l’entusiasmo che muovono ad azioni efficaci; 
allora la soddisfazione che ne deriva non si nutre di lontane aspettative, ma paradossalmente avvicina al traguardo.

Scendere a patti con noi stessi e sentire il nostro "confine" ci porta inoltre a fare i conti con il tempo reale che abbiamo a disposizione; perciò diventa fondamentale ritagliarci un tempo delimitato per portare a termine obiettivi precisi, oltre al quale concedersi il riposo. Dare un limite al tempo dedicato a determinate questioni aiuta a dare un confine alle relative preoccupazioni, aspettative (..., illusioni?). Consente inoltre di: fare una scelta maggiormente selettiva circa i nostri obiettivi, metterli a fuoco e non sentirsi da questi sobbarcati.
Questo ci permette di "respirare" e di concederci in misura maggiore il dono del presente. 
Da schiavi del tempo possiamo passare ad essere padroni del nostro tempo, evitando inutili sprechi di risorse.

Noi viviamo in un continuo presente. Perderlo di vista limita la possibilità di viverci pienamente e di provare soddisfazione. 

Le nostre scelte sono espressione del valore e delle possibilità che ci diamo, ma anche dell'accettazione per quello che siamo. 
La determinazione che portiamo nella realizzazione di scelte che ci fanno stare bene è frutto del nostro radicamento, che origina dall'auto-ascolto e dalla qualità del tempo che ci concediamo per noi.


E' necessario fermarsi per andare avanti.



Commenti